Ortofrutta: aggregarsi, per fare che?

Oltre a chiedere più aggregazione, bisognerebbe valutare la qualità dell’aggregazione raggiunta, non solo in termini quantitativi ma anche di efficienza, di risultati sul mercato.

di Lorenzo Frassoldati*
  • 11 December 2024

La consacrazione di Fruit Attraction Madrid come l’edizione più grande di sempre e tale da rivoluzionare la gerarchia delle fiere di settore in Europa (e nel mondo) mi induce a qualche riflessione. Però bisogna fare un passo indietro.  In Trentino due valli assai diverse fra loro per natura, storia e tradizioni – Val di Cembra e Fiemme –, ma contigue geograficamente, hanno deciso di mettere assieme le attività e le risorse di promozione e comunicazione e di lavorare in sintonia senza farsi le scarpe l’una con l’altra. Non si creda che in Trentino tra una valle e l’altra non ci siano rivalità e concorrenza, anzi. I campanili in montagna contano, eccome. Però quando si tratta di raggiungere obiettivi di reciproco vantaggio – Cembra vuole incrementare il turismo, Fiemme ha bisogno dei vini di montagna cembrani – ci si mette assieme superando pregiudizi e ottusa burocrazia. Sempre dal Trentino un altro esempio: le diverse Strade del vino divise per valli (erano 5) si sono unificate in una unica Strada del vino e dei sapori del Trentino, lasciando fuori solo formaggi e mele. Anche qui rivalità e pregiudizi superati in nome di una migliore efficienza/efficacia complessiva dell’azione e di obiettivi condivisi.
Nella sua prima intervista, raccolta dal nostro Emanuele Zanini a Madrid, il neopresidente di Italia Ortofrutta Andrea Badursi conclude parlando del confronto Italia-Spagna: “Tuttavia possiamo aggredire ed essere vincenti sul mercati raccontando l’alta qualità della nostra ortofrutta, con vere e proprie eccellenze presenti su tutto il territorio nazionale”. Poi: “Per farlo serve insistere sulla promozione e comunicazione delle caratteristiche delle nostre produzioni”. Infine il tema dell’aggregazione, passaggio sempre più imprescindibile. “Inoltre siamo al lavoro anche sulla ricerca applicata che dovrebbe consegnarci alcune interessanti riflessioni sui cambiamenti climatici, sul risparmio idrico e sull’ottimizzazione della logistica nei magazzini”. Temi questi ultimi strettamente legati a quello dell’aggregazione: più ci si aggrega più si può fare ricerca sul climate change, sulla razionalizzazione dei costi ecc. ecc.
I temi quindi sono due: produzioni eccellenti ma che vanno comunicate (assieme ai loro territori, aggiungo io). E l’aggregazione che è cresciuta, ma non basta. Perché anche se ha raggiunto il 50-55% della produzione commercializzata (media Italia) in certi comparti di grandi prodotti bisognerebbe arrivare al 70-80% per incidere davvero sul mercato. E poi c’è la qualità dell’aggregazione, che è come il debito di cui parla sempre Mario Draghi: c’è quello buono e quello cattivo, il primo fa crescita e sviluppo, l’altro perpetua in negativo lo status quo. Così c’è l’aggregazione buona e quella cattiva, fatta solo per intercettare i contributi OCM, e dove spesso gira solo della carta anziché il prodotto. E se l’aggregazione è buona, dove la si misura? Io direi dai risultati, dai prezzi spuntati sul mercato. L’aggregazione buona produce innovazione, prodotti vincenti sul mercato, logistica efficiente, in sintesi garantisce margini, reddito. Che è proprio quello che manca in questo momento per molte grandi produzioni ‘eccellenti’ italiane, come ammette con grande franchezza anche Gabriele Ferri, dg di Naturitalia, che alla nostra Cristina Latessa dice (sempre da Madrid): “Guardi, la preoccupazione maggiore è la difficoltà di dare al produttore un reddito che permetta di continuare ad investire e che sia attrattivo per i giovani. Noi eravamo abituati a condizioni di sovrapproduzione in agricoltura, ora siamo nella condizione opposta, bisogna pianificare e programmare la produzione, perché il reddito non soddisfacente di questi ultimi anni ha fatto sì che gli imprenditori agricoli si siano diretti su altre strade. Nulla può essere lasciato più al caso, questo è il contesto nuovo in cui stiamo lavorando”.
E qui torno al Trentino di cui all’inizio. Oltre a chiedere più aggregazione, bisognerebbe valutare la qualità dell’aggregazione raggiunta, non solo in termini quantitativi ma anche di efficienza, di risultati sul mercato. In Trentino è conosciuta e dimostrata la capacità di lavorare assieme, nel turismo come nelle mele e nel vino. Nell’ortofrutta troppo spesso l’aggregazione è solo un mantra, serve solo a drenare risorse, a fare un nuovo consiglio di amministrazione e poi le cose rimangono come prima (cioè con risultati insoddisfacenti). E poi, scusate, se l’imperativo categorico è aggregarsi, come mai delle Unioni di OP ce ne sono ancora due (Italia Ortofrutta e Unaproa) quando verosimilmente fanno entrambe lo stesso mestiere?
Concludendo: la prova di forza di Fruit Attraction è l’espressione muscolare di un paese, la Spagna, che nell’ortofrutta ha saputo fare sistema per davvero e non solo sulla carta. Che ha avuto visione e progetti e che ha puntato sull’aggregazione ‘buona’, come si vede dai numeri strabilianti dell’export (tre volte l’Italia), dalla continua conquista di nuovi mercati, dal boom di una fiera dietro cui c’è il supporto della politica e delle amministrazioni regionali e locali. 

*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it