Xylella, olivo, social media: qualche riflessione a voce alta

di Giacomo Lorenzini
  • 15 July 2015
Lo confesso subito: non sono un fitobatteriologo. Studio (e insegno) le malattie delle piante, ma non mi sono mai avvicinato al settore specialistico della batteriologia fitopatologica. L’ho dovuto fare un po’ di tempo fa, in modo specifico per quanto riguarda Xylella fastidiosa, per alcuni motivi: (a) me lo hanno chiesto gli studenti, frastornati da notizie, le più varie, relative al disastro degli olivi nel Salento e legittimamente desiderosi di essere aggiornati; (b) il Servizio Fitosanitario Regionale della Toscana mi ha coinvolto in un tavolo tecnico-scientifico e ho provato a dare una mano nella stesura del piano di emergenza, stilato (dicembre 2014) nell’ipotesi che la malattia possa raggiungere questa regione, con le ovvie implicazioni per le produzioni olivicole e vivaistiche. Quindi, mi sono messo a studiare. Le fonti sono quelle classiche: la letteratura cartacea (per lo più statunitense, in quanto il patogeno sino a ieri era praticamente confinato alle Americhe) e, ovviamente, Internet. Di seguito, vado riassumendo alcuni punti critici che ho maturato in questo percorso, sperando di offrire un minimo contributo di idee alla tematica.
Cominciamo dai momenti scientifici:
- Mai una pianta infetta da Xylella è sopravvissuta all’infezione; questo sembra lasciare nessuna speranza di interventi curativi, alcuni dei quali prospettati con non poca fantasia (ad esempio, applicazioni di un mucolitico di uso farmacologico, per contrastare la formazione del biofilm a livello di vasi xilematici); del resto, la percezione dello stato di infezione avviene soltanto ad un certo stadio avanzato di manifestazione dei sintomi, per non parlare della difficoltà di affidare all’endoterapia l’introduzione e la diffusione di una sostanza all’interno di un olivo secolare; ne deriva l’assoluta inutilità di lasciare in piedi una pianta certamente malata o morta.
- Mai un areale nel quale Xylella si è insediata è stato ‘bonificato’: quindi il Salento è condannato a convivere con la batteriosi. Si dovrà cercare di mettere a punto e realizzare un pacchetto di “buone pratiche”.
- Esiste una eccezionale diversificazione nel campo di ospiti delle sottospecie di Xylella (4, per ora, per un totale oltre 300 piante infettabili): non sarebbe utile che esse potessero essere elevate a rango di specie, sì da delimitare con chiarezza i relativi range? (Le piante suscettibili alla ssp. pauca sono soltanto pochissime decine, ed escludono, ad esempio, la vite).
- Il contrasto ai vettori (insetti xilemomizi) è cruciale.
- Mancano indicazioni circa la possibile trasmissione tra olivi per innesto radicale (dimostrata per agrumi); idem per gli attrezzi di potatura (verificata su vite).
- Il ‘balletto’ di prese di posizione tra autorità amministrative e politiche (ma anche penali) comunitarie, nazionali e regionali appare incompatibile per un fenomeno biologico devastante, con pesanti implicazioni economiche, sociali e culturali, che richiederebbe, invece, poche ma efficaci norme applicative.
- Meritano attenzione i fattori ‘contribuenti’ e quelli ‘predisponenti’: si è parlato poco delle imbarazzanti condizioni agronomiche di almeno una parte degli oliveti colpiti (carenza di cure colturali, come potature e fertilizzazioni; presenza incontrollata di piante erbacee nell’interfilare). Insufficiente considerazione è stata rivolta alle eccezionali anomalie climatiche dell’estate 2012 (ondate di calore paragonabili al 2003 e, forse, al 2015), che potrebbero avere contribuito a indebolire le capacità di reazione delle piante.
Ma veniamo agli aspetti mediatici: la materia si presta come un eccellente caso di studio del pericoloso ruolo sociologico delle comunicazioni moderne (Umberto Eco: ‹‹I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli.››). Fantasie in libertà, proposte ben oltre il limite della follia, accuse gratuite e insinuazioni offensive, sospetti di complotti internazionali (collegamenti anche con le scie chimiche!) … questo e molto di più si trova in rete a proposito di Xylella. Brevetti di improbabili toccasana, segnalazioni di miracolosi risanamenti, ovviamente in assenza di qualsivoglia riscontro. Come giustamente segnalato in un comunicato da AISSA (Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie), ‹‹sempre più frequentemente si leggono pareri, commenti, opinioni basate su convincimenti personali o su pregiudizi ideologici che rifiutano un confronto basato su elementi oggettivi e su risultati di ricerca scientifica››. L’Olivo (e la Scienza) non possono essere (mal)trattati in questa maniera. Un punto, comunque, merita attenzione: il clamore mediatico ha portato all’evidenza diffusa che anche le piante si ammalano, e pure in modo grave: le malattie compromettono la produzione, in termini sia quantitativi sia qualitativi, e alcune di esse portano a morte le loro vittime, quindi, occorrono risorse umane e materiali per studiare e combattere i patogeni vegetali. 


Xylella, olive trees, social media: doing some thinking out loud

Free-wheeling caprices, proposals well beyond the limits of madness, gratuitous accusations and offensive insinuations, suspicions  of international conspiracies … this and much more can be found on the net regarding Xylella. Patents for unlikely cure-alls, reports of miraculous recoveries, obviously without any confirmation. As rightly pointed out in a press release from the Italian Association of Agrarian Scientific Societies (AISSA), “we are reading ever more frequently opinions and comments based on personal beliefs or ideological prejudices that reject a comparison based on objective elements and results of scientific research”. Olive trees (and science) cannot be (ill-)treated in this way. One point however deserves attention: media outcry has highlighted widely that plants can also become ill, even severely so. Diseases jeopardize production, both quantitatively and qualitatively, with some even causing their victims’ death. Therefore, human and material resources are needed to study and fight plant pathogens.