La storia della vite e del vino passa attraverso il messaggio culturale che accompagna il percorso della bevanda attraverso i millenni: il simposio. Pratica conviviale ritualizzata e rispondente a precise regole che implicitamente invitavano alla moderazione nel bere, il simposio si svolgeva alla fine del banchetto greco tra conversazioni alternate al suono di musiche e canti, recita di poesie, danze e giochi; mediato dal mondo etrusco giunge ai Romani e sino ai nostri giorni nel comune denominatore del “bere insieme” (da synpinein). Convivialità e moderazione, socialità e responsabilità sono concetti pregnanti della cultura del vino, richiamati al Museo del Vino a Torgiano MUVIT da collezioni archeologiche, artistiche e tecniche.
Il consumo consapevole del vino è un concetto antichissimo che compare già negli episodi biblici come monito all’eccesso (L’ebbrezza di Noè, Lot e le figlie) e accompagna la diffusione della viticoltura nel Mediterraneo. Dono di Dioniso, il vino era per i Greci essenza stessa della civiltà e l’ebbrezza che causava era considerata compensazione degli affanni della vita, a patto di farne un uso giudizioso.
Durante il simposio i modi e i quantitativi del vino erano dettati dal simposiarca e in molte kylikes (coppe da vino) di età arcaica compaiono due grandi occhi, evocativi della maschera silenica o interpretati come personificazione della coppa stessa: nell’atto del bere, sollevando la coppa, la fissità dello sguardo è ammonimento e richiamo ai simposiaci. Ne è esempio la Kylix a occhioni del sec. VI a.C., dalla raccolta archeologica del MUVIT, che presenta al suo interno una maschera gorgonica come doppio monito all’eccesso.
Al Museo il percorso prende cronologicamente avvio dal III millennio a.C. con il richiamo ai luoghi storici della agricoltura e della viticoltura, alla Mezzaluna fertile, attraverso testimonianze pre ittite e ittite, siriane, cicladiche che attestano un uso quasi sacrale del vino ma è il simposio il leitmotiv nel susseguirsi delle civiltà mediterranee. Brocche, calici, versatori, kylikes, kyathoi (attingitoi), oinochoi (brocche) e altre forme del bere greche, etrusche, romane richiamano un consumo diffuso del vino e la sua presenza costante nei banchetti dell’antichità. Una presenza che accomuna tanto le mense contadine quanto quelle conventuali, principesche di età medievale, rinascimentale, moderna, sino ai nostri giorni; in tutte il vino è immancabile.
Pasteur, il grande chimico, lo definì “la più sana e salutare delle bevande”, proponendolo all’uomo come esercizio alla saggezza e alla moderazione.
Il vino a tavola, non solo come bevanda ma anche come alimento e nutriente integrante della dieta mediterranea, è richiamato da una vasta e ricercata raccolta di ceramiche dal XIII al XIX secolo, indicative di momenti storici, dell’evolversi del gusto e del pensiero, di botteghe e committenze. Dalla Panata medievale (Deruta, 1250-1350) con braccio in segno di brindisi alla Fiasca da parata dei Fratelli Fontana (1560-1570), piena espressione rinascimentale, alle numerose brocche e coppe amatorie realizzate in occasione di banchetti nuziali, oggetti che aprono alla connessione Vino-amore.
La ceramica rappresenta la raccolta primaria del Museo, giunge all’età contemporanea ed è organizzata in sezioni tematiche dedicate ai molteplici usi del vino. Dal citato "Vino nell’alimentazione" al "Vino nella medicina" al "Vino nella cosmesi" sino alla "Mitologia". Al mito di Dionysos-Bacco sono dedicate più sale e raccolte, muovendo dagli istoriati rinascimentali dove domina l’Infantia de Bacho di Mastro Giorgio Andreoli da Gubbio (1528), tra le opere più rappresentative del MUVIT, che raffigura, sullo sfondo di un paesaggio idilliaco, Bacco fanciullo offerente un acino d’uva a un satiro; ad esso fa eco il Bacco dei Della Robbia (sec. XVI) con corona cinta di pampini.
Il mito ben esprime l’ambivalenza della bevanda che, se consumata moderatamente è fonte di gioia, se assunta in quantità eccessive conduce all’abbrutimento. Un’ambivalenza che emerge dal contrasto tra l’armonica scena dell’abbraccio tra Venere e Bacco nell’Alzata del XVI secolo (Rimini o Urbino) e il Bacco ebbro portato a spalla da satiri nel Trionfo di Mastro Domenico da Venezia (1569 ca) dove l’eccesso cede all’abbandono. O, ancora, nelle numerose scene di baccanali, ambientazioni bucoliche del dio e del suo thyasos di satiri, menadi, ninfe e baccanti. Ne sono esempio i Baccanali di Andrea Mantegna, il Sileno ebbro di Annibale Carracci, i Trionfi di Carlo Cesio e Pietro Aquila, le molteplici rappresentazioni di banchetti, marcie, cortei, allegorie della raccolta di incisioni del MUVIT, che, costituita da oltre 600 fogli, giunge sino a Pablo Picasso (1959) dove un Baccanale con scena di danza dionisiaca, in un impensabile dialogo tra antico e contemporaneo, rievoca la Lastra “Campana” del sec. I d.C., a testimonianza di una continuità simbolica nel tempo ispirata dal vino, dal simposio, dalla convivialità.
Foto: Brocche, cultura cicladica di Keros-Syros, 3200-2200 a.C - MUVIT Museo del Vino, Fondazione Lungarotti, Torgiano (PG)