L’attuale perdurante crisi economica è anche una crisi culturale perché si tocca con mano non sono più adeguati alcuni modelli e schemi tradizionali che avevano guidato l’economia dei decenni scorsi, come l’aspettativa di un certo flusso turistico (immutabile nel tempo, dai soliti Paesi), il distretto industriale (che conferisse la giusta scala alle piccole e medie imprese), la produzione agricola improntata a tipicità e molto orientata a una domanda interna (domanda ormai in caduta libera e resettata su altri modi di acquisto e consumo). Sarebbe fin troppo facile concludere che i progetti strategici non sono stati all’altezza della situazione.
Alla ricerca di schemi e piste nuove da percorrere nel tentativo di rimediare al difficile presente, ci si può imbattere in proposte e modelli magari di provenienza estera, con cui può essere il caso di confrontarsi molto seriamente: ovviamente correndo anche il rischio di perdere tempo inutilmente su pseudo-concetti e false opportunità, oppure su indirizzi buoni solo in teoria, ma di fatto lontani dal produrre i vantaggi sperati.
Una modalità che risulta inedita pur avendo ormai avuto qualche anche in Italia è il coinvolgimento dei cosiddetti portatori di interessi o stakeholders: non semplici “persone interessate”, piuttosto Soggetti avente pertinenza, competenza e ruolo su un certo ambito. Il loro contributo, comprese le rivendicazioni categoriali o ideologiche, può essere fruttifero se inserito in un contesto che punta alla coesione, come può avvenire per espresso accordo preventivo nei percorsi partecipati. Sarebbe un modo per rendere più utile le tanto deprecate lobbies. Si esula quindi dalle paralizzanti concertazioni tecnico-amministrative per aprirsi a input nuovi e legittimi, forieri di avanzamenti e sviluppi. Il massimo sarebbe arrivare a forme moderne di governance territoriale, dove le decisioni maturano in un contesto decisionale allargato e consapevole, senza per questo che siano disconosciute le sedi istituzionali deputate. Il “trucco” starebbe nella forza della coesione che sottende alle decisioni prese e agli indirizzi imboccati.
Strumenti nuovi si affacciano in questo senso come il “dibattito pubblico alla francese” introdotto in Toscana dalla LR 46/2013, o come il “Contratto di fiume” per i Consorzi di Bonifica.
Anche a livello agricolo e forestale questa modalità potrebbe aprire le porte ai “non troppo addetti ai lavori” e cominciare a far circolare percezioni, visioni e idee nuove. Un recente convegno svoltosi a Coredo, in provincia di Trento, ha fatto il punto sulla pianificazione forestale partecipata: nata negli USA per prevenire i conflitti nella gestione delle risorse naturali, in Europa ha avuto applicazioni in Svizzera dove ha costituito un’occasione di utile indirizzo sovraziendale, come anche in Italia. L’assunto sarebbe che il capitale sociale “messo in rete” può dar luogo a incrementi e miglioramenti di quello naturale, coniugando tecnica e saperi locali, e suscitando identità e appartenenza: le migliori condizioni per attrarre investimenti.