Sono circa 1000 le tonnellate di petrolio sversate in mare da navi petroliere nel 2020 secondo International Tanker Owners Pollution Federation (ITOPF). Una cifra certo ancora elevata, ma molto distante dalle oltre 600 mila che finivano in acqua alla fine degli anni ’70. È vero, la frequenza dei disastri petroliferi si è ridotta di oltre il 95% da quegli anni, ma secondo le stime più accreditate a finire in mare oggi sarebbero più di 2.4 milioni di tonnellate di lubrificanti, oli, nafte e solventi riconducibili ad attività umana. Non solo incidenti, insomma: ci sono anche gli scarichi dei motori delle grandi navi, i derivati dal lavaggio delle cisterne e gli scarti di manutenzione delle piattaforme petrolifere.
Così lo sversamento di idrocarburi liquidi continua a contaminare i mari, compromettendo per decenni gli ecosistemi. E “pulirli” è un’impresa praticamente impossibile: i metodi convenzionali che utilizzano dispersanti chimici e assorbenti, non solo hanno mostrato di avere impatti ambientali elevati (dalle 3 alle 52 volte più tossici del solo olio disperso), ma sono spesso poco efficaci.
Basti pensare che solo il 25% del greggio sparso nel Golfo del Messico con lo storico disastro della Deepwater Horizon dell’Aprile 2010 fu recuperato e smaltito. Ed è proprio questo che ha spinto un team di chimici e ingegneri della Nanyang Technological University (NTU) di Singapore a sviluppare una nuova “spugna” ecosostenibile a base di polline in grado di assorbire quasi ogni contaminante sversato in acqua. Una tecnologia che, se adottata su larga scala, secondo i ricercatori contribuirà a spazzare via l’inquinamento chimico e petrolifero prodotto in mare da attività antropiche.
Il prototipo presentato sulle pagine di Advanced Functional Materials (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/adfm.202101091) è ancora solo un piccolo dischetto di 5 cm di diametro, ma il coordinatore del progetto Nam-Joon Cho, professore di Ingegneria e Scienze dei Materiali alla NTU, sostiene che sia facilmente scalabile alle grandezze necessarie per l’impiego in acque marine. Il modello agisce proprio come le spugne di casa, ovvero assorbe e poi rilascia il contaminante. Ed è biodegradabile e completamente naturale. Per crearlo infatti, i ricercatori sono partiti da semplici grani di polline di girasole, poi compattati in forma di gel e quindi ricoperti da acido stearico per renderli idrofobici.
“Lo strato di acido stearico (un acido grasso naturale che si trova comunemente in cibo animale e vegetale, ndr), garantisce l’assorbimento selettivo dei soli inquinanti”, si legge nella pubblicazione. Il composto finale è una vera e propria spugna con architettura porosa 3D capace di assorbire oli come gasolio, esano e altri solventi organici a varie densità.
“L’uso del polline – spiega Cho –, un materiale tanto abbondante in natura e facile da produrre, rende la nostra soluzione molto più economica e sostenibile delle alternative oggi sul mercato”. Dalle prove in laboratorio risulta che il dispositivo ha una capacità d’assorbimento da 9.7 fino a 29.3 grammi di contaminante per ogni grammo di assorbente. Ottima performance, considerando che gli assorbenti di greggio usati oggi a base di polipropilene – curiosamente un derivato del petrolio – ne catturano da 8.1 a 24.6 grammi.
Nella “Proof of concept”, che serve a dimostrare la fattibilità del prototipo nella realtà, i ricercatori hanno assorbito olio combustibile sversato in acqua in meno di 2 minuti, servendosi di un minuscolo campione di spugna da 1.5 cm di diametro e 5 mm di altezza. “L’analisi dimostra che la nostra spugna è in grado di assorbire selettivamente agenti inquinanti per poi rilasciarli con efficacia comparabile o superiore ai metodi in uso oggi – sottolinea Cho -. E ciò che la rende davvero interessante è che lo fa a costi molto più contenuti e in maniera sostenibile per l’ambiente”. Dopo un grande interessamento della comunità scientifica, i ricercatori sono ora in cerca di collaborazioni con Ngo e altri partner internazionali per testare il prodotto su vasta scala in ambienti ed ecosistemi reali.
da: Repubblica.it, 20/4/2021