I prezzi del grano sul mercato globale stanno subendo un nuovo ed imprevisto aumento, attribuito questa volta ad eventi avversi dell’estate russa ed alla conseguente riduzione della produzione di grano, capace di far scattare un circuito di aumenti dei prezzi. Tre anni fa si verificarono altri eventi “straordinari”, con effetti a catena che causarono un ampio aumento dei prezzi alimentari, a partire proprio dal grano, sollevando tante discussioni allarmanti sulla sicurezza alimentare a livello globale.
E’ doveroso ricordare che i nostri agricoltori da qualche tempo sono stati costretti ad una progressiva e vistosa riduzione delle superfici coltivate a grano, a causa del crescente divario fra alti costi delle produzioni nazionali e prezzi di mercato globale più bassi. E’ logico e giusto che, quando vengono a mancare margini di reddito con un determinato prodotto, qualsiasi imprenditore vada alla ricerca di altri indirizzi di mercato che siano remunerativi per la propria azienda. D’altra parte, nel settore alimentare fra produttori agricoli e consumatori si sono sempre più largamente interposte importanti e complesse “filiere alimentari”, che ormai coinvolgono una serie di distinte attività imprenditoriali (per la preparazione, trasformazione, imballaggio, commercializzazione, distribuzione, ecc.). Il notevole valore aggiunto della miriade di prodotti alimentari che queste filiere immettono oggi sui mercati si presenta con un forte divario fra i prezzi al consumo e quelli pagati agli agricoltori per le loro produzioni primarie.
Le industrie alimentari non sono legate da alcun obbligo nei confronti delle corrispondenti produzioni primarie nazionali e sono giustamente libere di approvvigionarsi di materie prime (commodities) sul mercato globale. Troppo spesso i nostri agricoltori vengono così esclusi dalle filiere. Altrettanto legittimo è quindi il loro diritto di vedere segnalate ai consumatori queste libere scelte, precisando con chiarezza l’origine esatta dei prodotti primari utilizzati. La situazione attuale non è sostenibile e sta determinando nel mondo dell’agricoltura un diffuso malessere, disorientamento e pessimismo. All’esempio del grano, si aggiungono quelli di altri settori alimentari posti in crisi dalle libere importazioni di prodotti primari (olii di oliva, latte e derivati, pomodori, ecc.).
Un importante obiettivo potrebbe essere quello di favorire una compartecipazione agli utili del valore aggiunto complessivo da parte di tutti coloro che operano in una stessa filiera. In questa direzione sembra andare la relazione approvata ora, in seduta plenaria, dal Parlamento Europeo appunto su “Entrate eque per gli agricoltori”. Un siffatto, lungimirante principio potrebbe portare, nell’interesse di tutti, un maggiore equilibrio dei redditi nell’ambito della filiera (inclusa la fonte agricola primaria). Questo riequilibrio assicurerebbe la indispensabile sopravvivenza di un’agricoltura che oggi vede invece cadere in una colposa indifferenza la sua oggettiva difficoltà a rendersi competitiva.
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