La Scienza continua a offrirci crescenti e anche inimmaginabili nuove conoscenze, in tutti i settori del micro e macro-cosmo. Le imprese devono quindi adeguarsi con continue innovazioni per affrontare una competitività sempre più agguerrita sui mercati. La finanza trae profitti sostenendo le attività produttive con il credito e oggi trova interesse anche a investire direttamente nella ricerca scientifica.
In diversi Paesi stanno nascendo "Poli" di ricerca costituiti, in varie forme giuridiche, da soggetti privati e/o pubblici che operano creando anche partenariati con Imprese, Università, Centri di ricerca, Amministrazioni pubbliche, ecc., secondo mirate scelte strategiche. La loro direzione è affidata a persone di alta qualificazione, che hanno la responsabilità di coordinare le attività di ricercatori, tecnici, ecc.. Sono tutti selezionati e reclutati a contratto, ovunque nel mondo, senza passare attraverso concorsi e ruoli a vita. Questi Poli, soprattutto nei settori scientifico-tecnologici, realizzano un'attività dinamica ed efficace, senza perdite di tempo in troppi impegni burocratici. Hanno bilanci attivi con la cessione di brevetti o con altre forme di compartecipazione ai maggiori utili che si realizzano attraverso la vendita di prodotti innovati. I Soci finanziatori ricavano profitti molto interessanti attraverso la ripartizione degli utili di bilancio, spesso riconosciuti come alti rispetto ad altri investimenti finanziari.
Le prospettive che si stanno così aprendo sono certamente ampie e non solo in Paesi che dispongono di grandi Università e Centri di ricerca più liberi di agire in autonomia, con chiare leggi a tutela delle proprietà intellettuali e dei diritti brevettuali, nonché con maggiori possibilità di accedere a capitali più disponibili al rischio.
Nel nostro Paese, la ricerca scientifica purtroppo continua ad essere affidata in massima parte a frastagliate strutture pubbliche, ripartite fra Ministeri diversi, con vari aspetti negativi, già più volte evidenziati. Bisogna superare innanzitutto l'improvvida idea che queste attività siano da considerare un costo (tagliabile) per il bilancio dello Stato, anziché un investimento altamente produttivo - ancor più importante nel prossimo futuro - che accresce ricchezza economica, oltre che culturale, per tutti.
Cfr. QN, 8/06/2014