Perché mangiamo sempre meno carne di coniglio

di Giovanni Ballarini
  • 29 May 2024

La carne di coniglio sta scomparendo dalle tavole di molti paesi e tra questi anche dell’Italia. Nel mondo e nel periodo 2010 - 2020 la produzione e i consumi di carne di coniglio sono calati del ventiquattro per cento, in Europa questa diminuzione è arrivata al quarantuno per cento. Oggi un italiano ogni anno mangia solo sette etti e mezzo di una carne che ha ottime caratteristiche nutrizionali per l'alto contenuto proteico e la bassa presenza di colesterolo, sodio e grassi, questi prevalentemente insaturi. Una carne il cui consumo risale al Paleolitico e alle antiche civiltà rientrando nella Dieta Mediterranea e presente nella lunga storia culinaria dei piatti tradizionali italiani.
In ogni regione italiana il coniglio, che gli antichi romani allevavano nei leporaria, faceva parte degli animali della bassa corte perché di facile allevamento, con un’alta capacità riproduttiva e un’alimentazione vegetale non competitiva a quella umana, tanto simile a quella dei ruminanti da far ritenere il coniglio un pseudoruminante. Ruminanti sono animali dotati di un ampio sistema prestomacale nel quale l’alimento vegetale è fermentato da una flora microbica e protozoaria che produce acidi grassi volatili, aminoacidi, proteine e vitamine di cui l’animale si nutre. Il coniglio non è un ruminante e si nutre di un ventaglio di vegetali che in buona parte sono fermentati nel grosso intestino e soprattutto nell’intestino cieco del quale l’animale è dotato. Da queste fermentazioni batteriche e ricche di nutrienti essenziali si produce il ciecotrofo che per certi aspetti è simile al contenuto dei prestomaci degli animali ruminanti per cui il coniglio è considerato un pseudoruminante. Il ciecotrofo del grosso intestino contiene nutrienti che in gran parte non sono assorbiti e durante la notte viene espulso, ma il coniglio lo reingerisce per nutrirsi di questo fermentato, in modo diverso ma con risultati nutrizionali analoghi a quanto avviene nei ruminanti. Da qui la parola di pseudoruminante.
Molte erano le produzioni dell’allevamento tradizionale del coniglio che oltre alla carne dava pelle e pellicce (pelliccia di lapin) e in alcune razze anche una lana (lana d’angora) nelle aree rurali contribuendo al mantenimento di attività economiche ora scomparse o in forte diminuzione (pellicce e lana). Ma soprattutto in calo come già indicato è l’uso alimentare la carne del coniglio.
La carne di coniglio era tradizionalmente prodotta nelle fattorie e nei cortili in modo semplice, ecologico e in un’economia circolare che usava alimenti vegetali altrimenti non usabili o di riciclo, come frasche e cruscami quindi a basso costo e non con gli alimenti commerciali usati negli allevamenti industriali o semi-industriali sorti alla fine del secolo scorso ed ora in progressiva diminuzione. Ma non è soltanto il costo di produzione che sta diminuendo l’uso della carne di coniglio in Italia come in altri paesi industrializzati. Molto più importanti sono invece oggi le caratteristiche socio-demografiche, gli atteggiamenti culturali e sempre più la cucina dei consumatori e della industria della ristorazione che influenzano la domanda e il consumo di carne di coniglio, nonostante i suoi indubitabili pregi nutrizionali ed extranutrizionali di carne bianca con poco colesterolo e grasso, soprattutto insaturo.
Il coniglio domestico allevato per vari scopi nella maggior parte di paesi europei è oggi divenuto tra i più comuni e popolari animali da compagnia, terzo per presenza dopo cani e gatti, e questo per le sue caratteristiche di animale che ha bisogno di una nutrizione di facile somministrazione, non necessita di essere portato fuori casa come il cane, ha feci di facile raccolta e soprattutto è “coccolabile”. In una famiglia con un coniglio è quasi inevitabile che non si mangi la carne di questo animale. Inoltre negli ultimi tempi i consumatori prestano sempre più attenzione ai metodi di allevamento degli animali e per il loro benessere con una percezione negativa degli allevamenti intensivi e dei sistemi che prevedono l'ingabbiamento degli animali, come avviene anche per i conigli.
Molto importanti sono i cambiamenti sociali ed economici degli ultimi anni che hanno profondamente modificato la cucina e la gastronomia con il crescente se non determinante ruolo di prodotti alimentari con caratteristiche di convenienza e praticità di uso, quest’ultima comprendente le caratteristiche che aiutano i consumatori a ridurre il tempo e lo sforzo in tutte le attività legate all’uso in cucina e in questo contesto si inserisce la diminuzione dei consumi di carne di coniglio. La carne di coniglio è solitamente venduta come carcassa intera, il suo disosso richiede capacità, perizia e tempo e la sua cottura è legata a ricette tradizionali che richiedono ore e capacità culinarie. Il coniglio ha una carne bianca di poco sapore che richiede perizia nell’uso di trasformazioni e aromi e per questo è anche detto “camaleonte della cucina”. Inoltre mentre sul mercato sono disponibili molte alternative di carne pronte da cuocere e pronte da mangiare (ad esempio manzo e pollo), non esiste un'ampia gamma di prodotti a base di carne di coniglio con caratteristiche di praticità.
Motivi culturali e sociali sono alla base di una sempre più ridotta presenza della carne di coniglio sulle tavole degli italiani. Per contrastare questa situazione è utile ricordare quanto avviene nel mercato mondiale dove sono disponibili alternative innovative tra cui prodotti affumicati, in scatola, congelati, stagionati, raccolti in salsa, essiccati e arrostiti, nonché salsicce di carne di coniglio.