Un primo punto da chiarire è che nel commento apparso su uno dei maggiori quotidiani italiani, dal quale poi gli altri hanno attinto, c’è un errore grossolano. Il trilione nella lingua inglese equivale a 1000 miliardi e non a 1 miliardo di miliardi come erroneamente riportato nell’articolo e come è, invece, nella nostra lingua (anche perché, in tal caso, non sarebbero 422 gli alberi/procapite, ma 422 milioni…..basta un po’ di aritmetica di base). Per quanto riguarda i titoli strombazzanti utilizzati mi si permetta di andare un po’ controcorrente. Purtroppo nell’era dell’informazione usa e getta, si cercano titoli degli articoli volti ad attirare l’attenzione, ma talvolta fuorvianti. È vero che, secondo la ricerca di Yale citata, ci sono molti più alberi di quanto si pensasse, ma la situazione di emergenza del pianeta non cambia di una virgola. Non è che improvvisamente siamo diventati più ricchi di alberi!
I ricercatori sottolineano infatti, nell’articolo, che vengono tuttora tagliati 15 miliardi di alberi l’anno e che, dalla comparsa delle prime civiltà è stato perso il 72% della copertura forestale mondiale, di cui il 17% negli ultimi 50 anni e che, continuando di questo passo in 100 anni avremo perso tutta la superficie della foresta pluviale nel mondo e circa 28.000 specie potrebbero estinguersi (n.d.r.).
È altrettanto vero che c’è stata una diminuzione del 70% nella deforestazione negli ultimi anni e ciò si traduce in 3.2 miliardi di tonnellate di emissioni in meno. È come se per tre anni tutte le macchine degli Stati Uniti si fermassero. C’è stata si una diminuzione, ma non un’interruzione della deforestazione e, certamente, non si è avuto un aumento della superficie a foreste nel mondo (soprattutto di quelle pluviali).
Pur non essendo un esperto del settore forestale, vorrei esprimere il mio pensiero: è chiaro che la questione è prima di tutto di politica ambientale e di tecnologie disponibili. L’esperienza recente ci dice che la tecnologia non basta: occorre un salto di mentalità dei cittadini-consumatori. E, prima ancora, dei governanti.
Se un cittadino dell’Ecuador o della parte meno sviluppata del Brasile soffre la fame, non pensa alla foresta, ma alla piantagione di caffè che sorgerà al suo posto e che consentirà di sfamare lui e la sua famiglia. Questa è una considerazione cruda, ma reale, della quale non possiamo non tener conto quando pensiamo alle politiche future di protezione delle nostre foreste.
È chiaro che se vogliamo realmente cambiare qualcosa dovrà accadere una specie di rivoluzione. Non possiamo pensare di uscire fuori da questa crisi ambientale con la stessa mentalità che l’ha creata. Infatti, mentre pensiamo a quello che bisogna fare per creare un’economia ecologicamente sostenibile, ci rendiamo conto che si dovranno fare un numero elevato di cambiamenti in un periodo di tempo breve – per questo è giustificata la parola “rivoluzione”. Cito Lester Brown autore del saggio “Rivoluzione ambientale” che dice: “questa è una rivoluzione ambientale, un’economia globale che si adatta all’ecosistema terrestre e per la quale non abbiamo a disposizione generazioni o secoli. Ci vorrà uno sforzo enorme. Molti di noi ne saranno coinvolti. Negli ultimi venti anni abbiamo visto una notevole crescita di partecipanti a gruppi ambientalisti e la formazione di nuovi gruppi……”.
È vero che ci sono molte persone impegnate per causare questi cambiamenti, ma non sono ancora sufficienti e, talvolta, non sufficientemente preparate o informate tanto da determinare derive “integraliste”. Non abbiamo ancora invertito neppure una delle maggiori tendenze del degrado ambientale. Ci vorrà un enorme sforzo a partire dal singolo individuo fino a coloro che decidono le politiche ambientali a livello sovranazionale per far comprendere che:
• La protezione delle foreste è uno strumento essenziale per ridurre le emissioni di carbonio, insieme con l'efficienza del carburante e l'energia pulita.
• Un mercato globale che riconosce il valore del carbonio immagazzinato nelle foreste può generare miliardi di dollari per lo sviluppo dei paesi e quindi invertire la tendenza delle popolazioni povere a deforestare per coltivare.
• Con gli incentivi di mercato i paesi in via di sviluppo potrebbero avere più reddito proteggendo le loro foreste di quanto attualmente fanno attraverso la loro distruzione.
• Permettere alle imprese di investire nella conservazione della foresta piò contribuire a ridurre le emissioni subito durante la transizione alla nuova tecnologia a energia pulita.
• Occorre piantare alberi in maniera realmente sostenibile in modo che il loro numero aumenti realmente e non che si presenti come scoperta la semplice constatazione della loro reale consistenza.
"La Terra su cui viviamo non l'abbiamo ereditata dai nostri padri, l'abbiamo presa in prestito dai nostri figli”. Non dimentichiamolo mai.
422 trees procapite. Is this a really positive news?
As for the headlines used for the comments I would like to be a “Mary Mary quite contrary”. Unfortunately in the age of “disposable information”, the newspapers (and their websites) look for titles designed to attract attention, but they are often misleading. If it is true that, according to the research by Yale researchers cited above, there are many more trees than previously thought, the emergency situation of the planet does not change not even a tiny bit. It is not that suddenly we have become richer in trees!
The researchers actually point out, in the article, that 15 billion trees per year are still cut and that, by the appearance of the first civilization 72% of global forest cover has been lost, (17% in the last 50 years). At this rate, in 100 years we will have lost the entire surface of the rainforest in the world and about 28,000 species may become extinct.
“We Do Not Inherit the Earth from Our Ancestors; We Borrow It from Our Children”. We should not ever forget it.