Nel Libro dei Verbali delle Adunanze dei Georgofili è riportato il testo di una Lettura svolta dal Socio Cav. Bartolomeo Cini il 3 marzo 1872 con il titolo “Della utilità di una moneta comune nei diversi Stati europei, e delle difficoltà che frappongono ad attuarla” [1].
Bartolomeo Cini (1809-1877), imprenditore e studioso di questioni economiche e finanziarie, analizzando la situazione del tempo, caratterizzata dall’alto costo del denaro, da potenti spinte speculative, dal forte impegno di capitale nelle imprese, confermò il principio che ai Governi spettava soltanto il compito di dare sicurezza al proprio popolo e individuò come primo importante correttivo l’introduzione di una moneta di conto “comune a tutti li Stati d’Europa” (“L’utilità di una moneta comune a diversi Stati che hanno fra loro continue relazioni di affari e movimento di persone, è di per sé stessa tanto evidente, che mi parrebbe invero opera vana il diffondersi a dimostrarla”).
L’idea, sebbene scambiata per “sogno di un utopista”, scriveva Cini, era già stata espressa nel lontano 1582 da Gasparo Scaruffi da Reggio (1519-1584), il quale aveva ipotizzato una moneta unica d’oro e d’argento puri, tale da poter essere “ragguagliata” con tutte le monete esistenti, sì da superare la “grandissima confusione” generata dall’eccesso di monete allora in circolazione [2]. La proposta di Scaruffi non ebbe seguito.
Cini era consapevole delle difficoltà che si frapponevano alla realizzazione di tale progetto, dalla resistenza degli individui “a cambiare abitudini più o meno lunghe, in quell’infinito numero di calcoli che si fanno ad ogni momento”, alla necessità di stabilire regole per cui la nuova moneta dovesse avere peso, misura e materia comune in ogni Stato, dovunque cioè essa doveva avere stesso titolo.
Andava inoltre stabilito se la nuova moneta dovesse essere soltanto in oro, o in argento o in entrambi: “Senza mettersi d’accordo su questi punti, intorno ai quali differiscono molto le opinioni, è impossibile avere una sola moneta uniforme in diversi Stati. Prima dunque bisogna che si accordino nello stabilire la unicità del tipo, e dipoi il metallo, ed il titolo, ed il peso. E per arrivare ad un tal risultato, occorre che si tengano a guida i buoni principii economici, e nel tempo stesso si lascino da parte gli antichi pregiudizi”.
Erano state le Esposizioni universali di Parigi 1855 e 1867 a lanciare l’idea di una “moneta comune” e proprio a seguito della prima era nata l’Associazione internazionale per la diffusione del sistema metrico, che aveva svolto il compito di studiare l’applicazione del sistema metrico decimale già in uso in Francia, anche negli altri Stati d’Europa, ciò soprattutto nell’ottica della moneta unica.
Tutti gli Stati ora convenivano “sull’eccellenza del sistema metrico … congegnato così saviamente e con tanta armonia fra le misure, i pesi e le monete, che ogni altro sistema esistente” risultava al confronto inadeguato e “imperfettissimo”, restava invece da trovare un accordo e da decidere se la nuova moneta internazionale dovesse essere “affatto nuova (grammo d’oro)” o già esistente “(pezzo da 20 franchi)”.
Certo è che la sconfitta della Francia nella guerra del 1870-71 aveva cambiato il quadro dell’Europa e la Germania vittoriosa ambiva ad avere ruolo egemone relegando tutti gli altri Stati a ruolo subalterno; in questo panorama andava anche tenuto conto –ricordava Cini- della nuova unità monetaria (“marc”) che essa era in procinto di adottare.
La “moneta comune” a maggior ragione restava obbiettivo da perseguire e realizzare al più presto e per questo Cini sollecitava azioni decise ed immediate: “L’introduzione di una moneta nuova è senza dubbio un fatto grave nella vita economica di un popolo; ma una volta che si crede utile di farlo, bisogna farlo risolutamente”.