In tutta l’Italia del primo Novecento nei giorni di Carnevale era di consuetudine che le latterie e le pasticcerie offrissero il lattemiele assieme a frappe, sfrappole, galani, chiacchere, crespelle dolci, intrigoni o nelle cialde usate d’estate per i gelati. Il lattemièle denominato anche lattemmièle, latt’e mièle, latte e mièle e, nell’antichità, lattemèle è un dolce composto di panna con miele e il termine è poi passato a indicare la panna montata dolcificata con lo zucchero. Questa golosità ha dato origine a molte similitudini, quali è o pare un lattemiele, e a figurazioni come nuotare nel lattemiele per indicare chi vive in piena felicità o va in estasi e anche Giosuè Carducci parla di un mondo che nuota tutto nel latt’e miele.
Le prime testimonianze scritte del lattemiele risalgono al Rinascimento e al fiorentino Giovanni Vittorio Soderini (1526 – 1596) è attribuita la prima citazione quando dice che "messa questa panna in un bacile netto con acqua rosa, si sbatti et si rivolga con un mazzo di bacchettine legate fitte dal manico et rade nel resto, riducendola in schiuma, la quale si va levando con una mestola forata di mano in mano secondo che si fa (ponendovi sopra del zucchero grattugiato) et si pone nei piatti, seguitando però di rivolgere, sin che tutta sia ridotta a schiuma; et così si fa il lattismelle, che pare giusto schiuma di nevi”. Alcuni secoli dopo Giacomo Leopardi nel 1827 in una lettera sul suo soggiorno a Bologna scrive al padre, che aveva evidentemente richiesto notizie al riguardo, che “la ricetta del latte e melle è molto semplice perché consiste in fior di latte e panna, gelatina non salata e zucchero a piacere. Ma la principale consiste nella manipolazione, della quale mi hanno fatto una descrizione assai lunga e tale che io non so se la saprei rifar bene.”
Il lattemiele è preparato con la panna del latte e un dolcificante che un tempo era il miele oggi sostituito dallo zucchero. La panna è certamente nota fin da quando l’uomo inizia ad usare il latte degli animali da lui addomesticati. Il miele fin dall’antichità è associato al latte, quando nella Bibbia il Signore parla a Mosè dal rovo ardente gli dice che avrebbe dato agli Israeliti una “terra buona e grande, una terra in cui scorrono il latte e il miele…” e un midrash dice che il latte è simbolo di una qualità superiore, del buon gusto e di sostanza e il miele rappresenta la dolcezza per cui la bontà di Israele è sia nutriente che dolce.
Il miele della Bibbia per alcuni sarebbe uno sciroppo dolce ricavato da datteri, fichi o uva e nella Bibbia quasi tutti i riferimenti specifici al miele d’api ri-guardano quello selvatico, non quello ottenuto dall’allevamento delle api (Giudici 14:8, 9; 1 Samuele 14:27; Matteo 3:1,4), ma una recente scoperta archeologica ci fa cambiare idea. Amihai Mazar e Nava Panitz-Cohen (It is the land of honey: Beekeeping at Tel Rehov - Near Eastern Archaeology 70(4):202-219, December 2007) in uno scavo archeologico nella Valle del Giordano nella località di Tel Rehov e datato al X-IX secolo prima dell’era volgare hanno trovato un gruppo di più di trenta arnie sistemate in tre file e stimano che l’area ne contenesse un centinaio. Tra i resti delle arnie vi sono parti di corpi d’api, molecole di cera d’api e secondo gli studiosi questi alveari potevano produrre circa mezza tonnellata di miele all’anno. Mentre la Bibbia non dice nulla sull’apicoltura in Israele a quel tempo, la scoperta dell’apiario a Tel Rehov indica che l’apicoltura e l’estrazione del miele e dei favi sono un’industria altamente sviluppata già nel periodo del Primo Tempio di Salomone e è quindi possibile che il termine miele nella Bibbia indichi davvero il miele d’api. Risalendo indietro nei tempi le prime tracce che testimoniano l’uso del miele da parte dell’uomo, senza contare i suoi antenati, sono datate a circa diecimila anni fa in una pittura rupestre scoperta nei pressi di Valencia, in Spagna che rappresenta un uomo che si arrampica sulla cima di un albero o di una rupe. L’uomo è circondato da api in volo, dotato di una borsa o una cesta per riporre i favi sottratti alle api, con una nuvoletta di fumo, una tecnica ancor oggi usata nella raccolta del miele. Anche gli antichi egizi allevano le api ottenendo il miele, un cibo di lusso, prerogativa reale e divina, mentre una maggiore generalizzazione del suo uso comincia nel secondo millennio avanti Cri-sto, quando vasi per il miele o favi sono una razione di cibo in spedizioni commerciali, un bottino di guerra o un mezzo per il pagamento di tributi, offerte templari e doni votivi. Il miele è conosciuto e apprezzato in tutti i popoli dell’area mediterranea e di quella egeo-anatolica: e in molti paesi di queste aree l’apicoltura, come attività organizzata, distinta da quella del cacciatore di miele selvatico è praticata almeno dalla metà del secondo millennio avanti Cristo.
Nella panna dolce montata della Firenze rinascimentale e in quella della Bologna del Leopardi ricorrono gli stessi cibi primordiali, la panna e il dolce dello zucchero, ma la denominazione rivela che prima di questo era il miele che dava il gusto dolce al lattemiele, la cui origine si perde nella notte dei tempi, quando l’uomo ha a disposizione il latte e il miele. Non è quindi escluso, anzi è probabile che già nell’antichità il miele fosse unito al latte e soprattutto alla sua panna montata a neve per formare il lattemiele.