I confini tracciati dall’uomo sulle cartine geografiche perdono il proprio significato di fronte alle moderne sfide globali poste dal clima, dalla salute e da un mondo sempre più interconnesso. Considerarci come elementi estranei all’ecosistema ha fatto sì che alterassimo molte terre emerse, mari ed oceani, spesso non rispettandone gli equilibri. Invece, facciamo parte di un solo sistema, in cui la salute di ogni elemento del pianeta (umano, vegetale e animale) è strettamente interdipendente con quella degli altri.
Per questo motivo, si parla sempre più diffusamente dell’approccio “One Health”, ovvero la constatazione che esiste UNA sola salute che interconnette l’uomo con le piante, con gli animali e l’ambiente (visione olistica del concetto di salute). Detto più semplicemente, la salute del pianeta e di tutti i suoi abitanti deve avere pari dignità se vogliamo creare un ecosistema sostenibile, resiliente e durevole.
Perché questo approccio?
La pandemia da Coronavirus rappresenta un esempio suggestivo delle connessioni tra salute umana, salute animale e salute dell’ecosistema e di come l’uomo stia invadendo habitat naturali che non gli appartengono. Infatti, la continua distruzione di questi habitat costringe molti animali selvatici, portatori di malattie pericolose per l’uomo, a trovarsi a convivere a stretto contatto con noi. In altri termini, abbiamo forzato un sistema portando in una grande concentrazione urbana ciò che doveva stare in mezzo a una foresta.
Il modello One Health ci aiuta a capire che questa pandemia, in pratica, ce la siamo cercata noi, creando le condizioni perché il virus passasse dall’animale all’uomo. Tutte le attività umane che causano una perdita di biodiversità – deforestazione, cambiamenti nell’uso del territorio, agricoltura e allevamenti intensivi, commercio e consumo di animali selvatici (per esempio, nei famigerati wet market-mercati umidi- dell’estremo oriente) aumentano il contatto della fauna selvatica con gli animali allevati e, quindi, il trasferimento di potenziali agenti patogeni da questi agli umani. Si deve ritenere, perciò, che l’agricoltura spregiudicata abbia aumentato, con la deforestazione, il rischio zoonotico degli spillover, ovvero del passaggio di un virus da una specie “serbatoio”, in cui esso abitualmente circola, verso una nuova specie “ospite” (l’uomo) in cui esso può morire oppure adattarsi fino a innescare epidemie. Quando un virus effettua un salto di specie, beh…. ha vinto una lotteria! Ora ha una popolazione di 8 miliardi di individui attraverso cui può diffondersi.
I microrganismi, l’ambiente e l’uomo
I microbi (virus, batteri, funghi) sono gli anelli di congiunzione tra mondi apparentemente separati: la salute umana, la salute animale e la salute, o meglio la non salubrità, dell’ambiente. La fonte dell’infezione è quindi l’animale ed è noto che circa il 75% delle malattie infettive emergenti che interessano gli esseri umani sono di origine animale. Le più conosciute di queste zoonosi verificatesi negli ultimi quarant'anni sono l’HIV, l’Ebola, la SARS del 2003, l’Influenza aviaria e, ultima in ordine di tempo, la SARS-CoV-2.
Che un microrganismo ‘invisibile’ abbia minacciato la salute degli umani non è una cosa nuova. Si contano diversi esempi: dall’epidemia di vaiolo nell’accampamento dei greci a Troia (descritta da Omero nell’Iliade), alla peste nera del 1348 (che spazzò via un terzo della popolazione europea), alla Spagnola del 1918 (che fece almeno 50 milioni di morti in tutto il mondo).
La sfida
Si riuscirà a integrare le varie competenze per raggiungere un benessere a 360°? Il passaggio dalla visione ‘classica’ della salute al nuovo paradigma della salute articolato secondo One Health dovrebbe prevenire efficacemente focolai di zoonosi. Infatti, questa strategia sanitaria è basata sull’integrazione di discipline diverse che lavorano a livello locale, nazionale e globale, per raggiungere una salute ottimale per tutti gli abitanti del nostro Pianeta.
Interdisciplinarietà, sostenibilità e interdipendenza costituiscono le parole chiave di questo approccio. Non solo quindi sinergia tra il mondo della medicina umana, medicina veterinaria e dell'ecologia, ma anche collaborazione con le scienze sociali e umanistiche, le scienze fisiche e le scienze della vita.
Per fare questo è necessario anche svecchiare i percorsi educativi e formativi, che oggi funzionano per buona parte a compartimenti stagni e che parlano poco gli uni con gli altri. All’Università di Sidney (Australia) è da anni che le Facoltà di Agraria, Ecologia e Veterinaria si sono unite in una unica scuola di Life Science, promuovendo fortemente le collaborazioni.
Un nuovo modo di pensare e agire
Un cambiamento radicale non può prescindere dal coinvolgimento dei cittadini: diversi studi hanno dimostrato che, rispetto alla tematica dei cambiamenti climatici, le persone si sentono un po’ distaccate, credendo che le proprie azioni non possano avere un impatto su un tema così complesso. Il tema della salute circolare, strettamente connesso al clima sotto diversi punti di vista, ripropone questa sfida. Dobbiamo capire che siamo tutti dei pre-pazienti che devono cercare di diventare pazienti il più tardi possibile e quindi prendere in mano la nostra salute, diventando attori più partecipi e protagonisti, anche attraverso gli strumenti digitali, per informarci sui fattori di rischio e gestirli di conseguenza.
Un pubblico educato è un pubblico più attento e questo può mettere in atto azioni virtuose quali segnalazioni di fenomeni insoliti che possono portare alla scoperta precoce di focolai, aiutando così a prevenire successive epidemie.
Big data e intelligenza artificiale
Non dobbiamo dimenticare che viviamo ormai nell’era dei big data e dell’intelligenza artificiale e si deve cercare di sfruttare tutte le nuove opportunità che questo campo in grande espansione può offrirci. Per esempio, le analisi che possiamo fare con i big data ci permettono di monitorare costantemente parametri ambientali, come temperatura e umidità, il livello delle polveri sottili, l’indice UV, la presenza di pollini, la forza degli uragani, il riscaldamento del mare e la fusione dei ghiacciai. Una mole di dati che può essere esaminata mediante sofisticati sistemi di analisi statistica e con l’aiuto dei cosiddetti ‘supercomputer’, in grado di gestire simultaneamente centinaia di terabyte di dati. Usati eticamente e all’interno di una visione per il bene collettivo come One Health, le analisi sui big data potranno essere molto utili nel processo di decision-making.
Conclusioni
Ci si può chiedere: si riuscirà ad applicare questo nuovo modo di pensare e agire per la salute? Si potrà metterlo in pratica attraverso una vera governance per la protezione e promozione della salute non più confinate in modo miope solo alla salute umana?
Si può rispondere, dicendo che la strategia di gestione integrata della salute pubblica sta rapidamente diventando un movimento internazionale, proposto e riconosciuto dal Ministero della salute italiano, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla Commissione Europea, dall’Organizzazione per la salute animale e da molte altre organizzazioni internazionali. Peraltro, gli obiettivi per ridurre il rischio di nuove pandemie sono gli stessi che presidiano la salute dell’ambiente e la tutela della biodiversità: stop alla deforestazione e all’uso del suolo per agricoltura e allevamenti intensivi (i fattori più importanti di aumento delle zoonosi a livello globale), eliminazione dei mercati umidi e limite ai commerci della fauna selvatica.