L’agricoltura al centro della politica europea, operazione necessaria ma non sufficiente

di Massimo Vincenzini
  • 05 June 2024

Spesso, in queste settimane di campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo, leggo articoli e interviste in cui viene affermato che “l’agricoltura è tornata ad essere centrale” nella politica europea. A mio parere, questa affermazione non è sufficientemente rassicurante.
Certo, l’agricoltura, fin da quando è stata concepita e messa in atto, è stata e continua ad essere strategicamente centrale per l’intera Umanità, in quanto è la fonte del nostro sostentamento e senza cibo non si può vivere. Portare l’agricoltura al centro della politica europea è, quindi, necessario.
Tuttavia, alquanto spesso, le scelte politiche assunte dal Parlamento europeo si sono rivelate dannose per il settore primario, incapaci di tracciare percorsi virtuosi condivisi con agricoltori e allevatori. Portare l’agricoltura al centro della politica europea non è, quindi, sufficiente.
Al riguardo, furono illuminanti le parole che il nostro Presidente Onorario, prof. Franco Scaramuzzi pronunciò nel Salone dei 500 di Palazzo Vecchio, in occasione della inaugurazione del 262° Anno Accademico, avvenuta il 13 aprile 2015. La prolusione, integralmente riportata negli Atti dei Georgofili, fu di una chiarezza disarmante, fin dal suo titolo: “Un grande errore: demolire l’agricoltura”. Le “improvvide disattenzioni” di cui l’agricoltura è stata vittima, con speciale riferimento al periodo iniziale del terzo millennio, furono impietosamente ricordate dal prof. Scaramuzzi, come anche furono descritti con grande lucidità gli effetti negativi delle decisioni politiche assunte a carico del settore primario, tanto da fargli affermare che “la nostra agricoltura ha ancora potenzialità ma la sommatoria delle disattenzioni la sta demolendo”.
Pochi mesi dopo la ricordata inaugurazione, l’Assemblea generale dell’ONU approvò all’unanimità l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, riservando all’agricoltura un ruolo strategico per il raggiungimento di molti dei 17 Goals complessivamente previsti. La nobiltà degli intenti era tale da indurre a un certo ottimismo: l’agricoltura avrebbe finalmente potuto avere un impulso favorevole, con obiettivi pianificati e condivisi a livello globale.
Da quel 2015, sono passati diversi anni e molte delle speranze di allora sono state disattese, tanto che oggi siamo in ritardo, tanto a livello globale quanto a livello comunitario, sulla tabella di marcia per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile entro il 2030.
La nostra produzione agricola è da anni contrassegnata da un andamento negativo, penalizzata da cambiamenti climatici che si manifestano con dannosi eventi meteorologici estremi o da istanze ambientaliste che di fatto limitano le possibilità dell’agricoltore di mettere in atto efficaci strategie di difesa delle colture o, ancora, da una erosione apparentemente incontrastabile di suolo agricolo a favore di aree urbane e delle loro reti infrastrutturali, solo per citare alcuni dei fattori determinanti la perdita di produzione.
Oggi, è necessaria una decisa inversione di rotta, con una agricoltura al centro dell’attenzione di una politica finalmente capace di percepire l’attuale condizione nella concretezza dei fatti e di assumere provvedimenti che non siano estranei alla realtà, evitando anche proclami inconsistenti. In altre parole, è necessaria una politica agricola che si basi sulla conoscenza dei molteplici modelli di agricoltura adottati dagli agricoltori nei diversi territori e che sia consapevole degli sforzi che l’agricoltura sta mettendo in atto per conseguire il suo obiettivo originario, fornire cibo sufficiente e di qualità per una popolazione in continua crescita, coniugandolo con l’attuale necessità di essere economicamente, ambientalmente e socialmente sostenibile.
L’auspicio è dunque di vedere presto l’agricoltura al centro di una politica europea non ideologicamente schierata a favore di provvedimenti irrealistici e culturalmente preparata per adottare interventi adeguati, che non si limitino all’assistenza economica agli agricoltori, ma si rivolgano anche alla ricerca scientifica, all’innovazione e al trasferimento tecnologico.