Pare che, la scorsa primavera, il dolce in cui si sono soprattutto cimentati gli italiani chiusi in casa, sia stata la torta di mele. La vendita del frutto ha segnato un più 30%: molte mangiate a morsi, ma di certo tante finite in forno. Facilità della ricetta? Memorie dalla propria infanzia? Effetto Nonna Papera con le sue crostate fumanti? Le tante varianti, dallo strudel alla tarte tatin, certo hanno contribuito.
La mela poi è frutto sempre presente in casa e in ogni stagione. Non c’è regione italiana che, in nome della biodiversità, non ne tuteli qualche varietà locale più o meno antica. Mentre altre, come il Trentino-Alto Adige (65% della produzione nazionale) ne hanno fatto punto di forza dell’agricoltura e dell’economia, arrivando a modificare il paesaggio in una sorta di monocultura. Quello che non sappiamo (o dimentichiamo) è che tutte queste mele – ogni frutto, in realtà, con il suo speciale sapore - non arriverebbero in tavola se non ci fosse una piccola e infaticabile lavoratrice da cui dipende la fruttificazione: l’ape.
Tutte uguali per noi: invece solo una minima percentuale di quelle che ci ronzano intorno appartiene alla tipologia “da miele”, di api “sociali” dove le operaie lavorano per la regina, unica a deporre le uova. Il 90% è “selvatica”, api “solitarie” (in Italia per lo più della specie “osmia”), dove ogni femmina è regina e operaia. Comunque sia, “selvatiche” o “domestiche”, il 75% delle coltivazioni a livello mondiale dipende dal loro lavoro, biodiversità compresa: ogni specie ha infatti il suo fiore preferito.
In questi ultimi decenni però inquinamento, pesticidi, cambiamento climatico, perdita dell’habitat naturale ne mettono a rischio la sopravvivenza. «I numeri assoluti delle mellifere si mantengono alti, perché gli allevatori intervengono e ripopolano -, ci spiega Fabio Sgolastra, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna -. Ma ricerche internazionali parlano di morie anche del 30% tra le api da miele. Tra le “solitarie”, non monitorate dagli apicultori e di cui si sa davvero molto poco, il GBIF (Global Biodiversity Information Facility) ha registrato nel report 2018 un meno 25% di specie». Insomma, se è vero che le api sono un indicatore importante dello stato del nostro Pianeta, c’è di che essere preoccupati.
da: Repubblica.it, 11/5/2021