Come ricorda Giuliano Mosca in un articolo apparso su Georgofili Info il 27 luglio (Uno stress idrico quasi permanente), l'ondata di siccità che ha colpito il nostro Paese ha fatto una vittima illustre, che è la risicoltura. Non è scontato che l’evento siccitoso si ripeta nel 2023 nelle proporzioni e nelle dinamiche cui abbiamo assistito in quest’annus horribilis - in tal senso, val la pena di leggere l’analisi Luigi Mariani (Società agraria di Lombardia), che guarda al futuro con “cauto ottimismo” (https://www.risoitaliano.eu/48621-2/) - ma il cambiamento climatico è talmente una realtà da non abbisognare più di conferme scientifiche e il ritardo del nostro Paese nella gestione della risorsa idrica è talmente evidente che mi è parso utile promuovere, come risoitaliano.eu, un gruppo di lavoro che, riunendo le competenze di agronomi e ingegneri idraulici, facesse sintesi delle proposte in circolazione sulle contromisure da porre in atto a partire da quest’inverno per fronteggiare una possibile siccità nel nuovo anno. Il metodo di lavoro che abbiamo scelto può apparire bizzarro ma non lo è. Poiché le posizioni su questo tema celano interessi economici rilevanti e divisivi, per ottenere dai tecnici delle valutazioni realmente indipendenti si è deciso di preservare la loro identità. Ciascuno ha spiegato come affronterebbe l’attuale emergenza idrica avendo la certezza dell’anonimato sia rispetto al pubblico, sia rispetto agli altri tecnici, spesso provenienti da espressioni sindacali e consortili tra loro in forte contrasto. La documentazione dei pareri, naturalmente, è conservata, a tutela della correttezza della sintesi che è stata fatta sulla base delle comunicazioni ricevute.
Il risultato di questo lavoro (https://www.risoitaliano.eu/ecco-cosa-fare-contro-la-siccita/) è un piccolo dossier sul “che fare”, che è online ed è considerato un work in progress, anche se la versione attuale, che riporta la data del 21 luglio, risulta del tutto attuale, atteso che su diversi punti del dossier sono proseguiti i ragionamenti (come quelli su sistemi di risparmio nell’irrigazione del mais) ma non si è ancora giunti a decisioni definitive né a nuove regolamentazioni.
Circa l’indispensabilità di un ripensamento nella gestione della risorsa idrica in risicoltura viene immediato riferirsi, come detto, alle riflessioni di Mosca sul riso, in quanto «forte utilizzatore di acqua» e metterle a confronto o, per meglio dire, prolungarle con quelle emerse dalla filiera del riso e raccolte nel documento di Risoitaliano. Nell’articolo richiamato, si focalizzano gli effetti del cambiamento climatico, il quale «sembra portare verso eventi piovosi più radi ma intensi mentre lo scioglimento anticipato dei ghiacciai diminuisce le scorte» e si suggerisce di «aumentare l’efficienza della rete scolante lungo tutto il percorso fino al mare» nonché di «realizzare degli invasi in grado di accumulare l’acqua in eccesso, abbassando il carico della rete durante gli eventi piovosi più intensi e utilizzandola durante i periodi di stress», sottolineando il ruolo di grande invaso che gioca la risicoltura, rimpinguando la falda - evidentemente, in anni meno siccitosi di questo - attraverso la sommersione delle risaie.
Tanto Mosca quanto i tecnici di Risoitaliano evidenziano peraltro i diversi effetti delle tecniche di semina più diffuse in risicoltura, quella della semina in sommersione primaverile e quella a file interrate in asciutta, che prevede la sommersione a giugno. La scelta di una tecnica rispetto all’altra, val la pena di sottolinearlo anche in questa sede, dipende essenzialmente da ragioni organizzative dell’azienda ma le conseguenze idrologiche di questa scelta aziendale hanno un impatto ben più ampio, perché l’asciutta sposta da aprile a giugno il fabbisogno irriguo, incontrando i periodi di picco della domanda, generati anche da altre colture come il mais. Va da sé che, particolarmente in anni siccitosi, questa soluzione si rivela non sostenibile. Le soluzioni tecniche per risolvere questa dialettica sommersione/asciutta ci sono e ci si sta lavorando nelle università e all’Ente Risi, nei consorzi e nei sindacati. Di recente sono state studiate la sommersione a turni alternati (risultati provvisori delle sperimentazioni rivelano un risparmio di immissione del 60%, una riduzione della produzione di risone dell’8%, ma nessuna colatura e una riduzione significativa della percolazione in falda. Studi sono stati eseguiti anche sulla subirrigazione, su tre piccole camere di risaia (controllo insufficiente delle infestanti, grande risparmio idrico, nessuna colatura né rimpinguamento delle falde, raddoppio dei consumi energetici). Inoltre entrambe le tecniche, se applicate su ampia scala, richiedono la rivoluzione della rete irrigua, che nella zona piemontese/lombarda è estesa per circa 15.000 km.
L’approccio, vien da dire, dev’essere interdisciplinare: infatti, bisogna tener conto che - anche per le caratteristiche variabili dei territori e della rete irrigua in cui la risicoltura è praticata - le scelte degli agricoltori in sede di semina possono essere solo uno degli strumenti con cui affrontare le ondate siccitose. Precisamente questo è il messaggio che traiamo dal dossier dei tecnici, che ha riscosso l’apprezzamento dei vertici delle Regioni Piemonte e Lombardia, dove si concentra la risaia italiana.
Che la risicoltura utilizzi molta acqua è noto a tutti: necessita in media di 20÷40 mila m³ di acqua ad ettaro. Che la consumi non è esatto, in quanto la conserva e la restituisce alla falda, tramite “colature” (scarico a fine camera, 15÷30 mila m3/ha) e percolazione (4÷6 mila m3/ha), evitandone o rallentandone il deflusso verso il mare. «In base alle evidenze scientifiche - leggiamo nel documento finale dei tecnici -, la sommersione resta oggi il metodo più sostenibile perché causa il rimpinguamento delle falde sottostanti, le quali dall’inizio della sommersione si innalzano in tutto il territorio dalla profondità media di -3,5 a quella di -0,5 ÷ 0 metri rispetto al piano di campagna, con un accumulo stimato in 1,736 miliardi di m³. Ciò si ottiene solo sommergendo le risaie nel periodo di aprile e maggio, quando l’acqua che si scioglie dai nevai di bassa montagna è più abbondante».
La logica conseguenza è che, se si vuole evitare che si sommi alla siccità lo squilibrio della domanda irrigua e l’impoverimento della falda freatica, bisogna incentivare la sommersione primaverile, come viene proposto dai tecnici. Nel documento essi indicano nei Psr lo strumento amministrativo e finanziario. «Ove una revisione del PSR non risultasse possibile - si legge anche -, si potrebbe intervenire sui criteri di riparto della spesa consortile, differenziando la contribuzione a carico dei terreni seminati in sommersione e, quindi, aumentando le aliquote a carico di quelli seminati in asciutta». Questo è sicuramente il focus delle proposte, che però contemplano anche un richiamo agli agricoltori a praticare una semina corretta e quindi idrorisparmiosa, il più possibile anticipata, sia in acqua che in asciutta; ed un richiamo agli enti consortili a rivedere la distribuzione della risorsa irrigua in termini equi. La riorganizzazione della canalizzazione e interventi che la adeguino alla mutata situazione climatica, così come la proposta di usare varietà a risparmio idrico sono tra le idee che stanno già incontrando un’applicazione mentre scriviamo. Dopo un’estate di polemiche, innescate dalla riduzione delle portate e addirittura dall’interruzione del servizio irriguo in alcune zone per salvare i raccolti in altre, il consorzio Est Sesia sta studiando un sistema di turnazione, le Regioni Piemonte e Lombardia stanno lavorando per incentivare la sommersione invernale nei Psr e le società sementiere stanno selezionando nuove varietà a risparmio idrico, come auspicato nel documento di luglio. Più complicato il tema delle rotazioni ed ancora di più le ultime due proposte raccolte nel documento.
Se, infatti, il nodo della collaborazione con i gestori degli impianti idroelettrici è ancora aggrovigliatissimo (consentirebbe di superare l’annoso problema del rilascio condizionato dal “borsino dell’energia” in base alle ore notturne ed i giorni festivi), la scelta di realizzare invasi, mini-invasi e bacini in grado di assicurare la disponibilità di acqua soprattutto nei periodi di minor frequenza delle precipitazioni e di aumento delle esigenze idriche, allo scopo di aumentare l’elasticità del sistema irriguo, mette a confronto la risicoltura con interessi decisamente più grandi di lei, come dimostra il dibattito su questo tema che è in corso da mesi sul piano nazionale.
In conclusione, vista dal piccolo mondo del riso, la crisi idrica si può superare solo con un approccio sistemico agli interventi tecnici, organizzativi e infrastrutturali e tale approccio, come dimostra anche la fortuna avuta dal documento in esame, è tanto più efficace se resta ancorato al dato tecnico, mettendo in secondo piano altre considerazioni. Giacché l’acqua segue la forza di gravità, non i confini amministrativi o gli equilibri politico-sindacali.