La criticità in cui il settore primario si trova per il crescendo dei danni subiti dalla fauna selvatica rappresenta un fatto estremamente rilevante innanzi al quale gli agricoltori si trovano per lo più inermi. I danni che la fauna selvatica arreca alle attività agricole e all'ambiente, in diverse realtà del territorio nazionale, hanno raggiunto livelli insostenibili. Al di là del crescendo della presenza della fauna selvatica in diverse aree agro-silvo-pastorali, si moltiplicano i danni alle strutture agrarie, alle proprietà e in particolare alle colture agricole, zootecniche e boschive, determinando un grave pregiudizio all’attività di impresa, ma anche alla collettività.
L'attuale sistema normativo non sembra più capace di mantenere e adeguare le popolazioni di tutte le specie selvatiche in modo da garantire un equilibrio tra la presenza della fauna selvatica, l’esercizio dell’attività agricola, le politiche ambientali che emergono dall’ordinamento attraverso la tutela delle sue ricchezze, e le risorse naturali nonché i valori culturali e sociali.
In queste condizioni è necessario che dalla situazione attuale in cui il contenimento della selvaggina, sulla base di una programmazione regionale, è affidato sostanzialmente all’opera dei cacciatori, si passi a una fase di gestione faunistica che ne valorizzi le potenzialità da tutti i punti di vista. E’ necessario cioè che la fauna selvatica da problema diventi risorsa per il territorio, per tutti i portatori di interesse, imprese agricole comprese.
Nella situazione attuale in Toscana ad esempio, relativamente agli ultimi 15 anni, le popolazioni di ungulati selvatici hanno fatto registrare un costante incremento, tanto da portare quasi al raddoppio del numero di cinghiali, caprioli e cervi.
D’altra parte l’equilibrio auspicato dal legislatore della legge 157/92 tra le esigenze di conservazione della natura e dell’integrità ambientale, da un lato, e la produzione agricola dall’altro, richiede un intervento più ampio e radicale che deve interessare lo stesso impianto della legge quadro. In una prospettiva siffatta rileva sempre più il ruolo dell’agricoltore, individuato anche dal legislatore europeo quale custode dell’ambiente, e d’altro canto lo stesso prelievo venatorio deve rientrare nei limiti di un rapporto di compatibilità tra attività antropiche, tutela dell’ambiente ed equilibrata presenza della fauna selvatica.
Allo stato attuale il tema dei danni causati dalla fauna selvatica segue un metodo settoriale attraverso un intervento ex post volto a restaurare il danneggiato tramite un esiguo indennizzo. Tuttavia, sembrerebbe preferibile tentare di definire idonee linee di intervento finalizzate ad attuare un sistema di prevenzione di tali danni. A tale riguardo gli operatori del settore hanno più volte evidenziato le difficoltà dell’attuale sistema. In questi termini, occorre procedere contemperando i diversi interessi coinvolti ed evidenziando le criticità dell’attuale sistema normativo, fortemente frammentato. Al contempo è opportuno definire, in una prospettiva de jure condendo, interventi normativi, non volti al contenimento di una specie, ritenuta a priori più dannosa delle altre, bensì mediante una maggiore riflessione finalizzata ad una gestione complessiva della fauna sul territorio.
L’articolo è una sintesi della giornata di studio su: “Irrazionali danni da fauna selvatica all’agricoltura e all’ambiente”, che si è svolta all’Accademia dei Georgofili il 20 maggio 2014.