La ricerca internazionale traccia la storia evolutiva del riso e riporta a circa 8.200 anni fa le origini della pianta che fu coltivata prima in Cina e poi in India. Un team internazionale di studiosi, usando la tecnica chiamata “orologio molecolare” è giunta a stabilire che le due sub specie più importanti di riso asiatico, Oryza sativa indica e Oryza sativa japonica, hanno un’unica origine a causa della stretta relazione genetica che le caratterizza. E’ stato accertato che la domesticazione a scopo agricolo avvenne circa 8-9000 anni fa per prima nella valle del fiume Yangtze, in Cina, e che solo in seguito, circa 3.900 anni fa, i semi furono portati in India. La separazione tra le due sub specie avvenne nella regione del Gange, in seguito a spostamenti di commercianti e agricoltori migranti. Finora un diverso modello basato sulla origine di una singola specie aveva invece fatto ritenere che le due sub specie fossero state sviluppate separatamente e in diverse parti della Asia dalla originaria e selvatica Oryza rufipogon (Molecular evidence for a single evolutionary origin of domesticated rice. PNAS, 2011). Tra le Graminacee, il riso è la specie dotata del genoma più piccolo e di recente la mappa genica è stata completata da un gruppo di ricercatori di 10 Paesi coordinati dal Giappone.
La coltivazione del riso in Polesine e nel Ferrarese risale alla fine del XV secolo, ma è dalla metà del ‘700 che diventa dominante nel Delta del Po per espandersi ulteriormente nell‘800, producendo profondi cambiamenti nel paesaggio. Declina nel ‘900 a favore del mais e della barbabietola da zucchero, ma da alcuni decenni ha registrato un nuovo rilancio. Polesine «terra circondata dalle acque», la sua particolarità è data dalla fitta rete di canali d’irrigazione e di collegamento con i fiumi Po e Adige e dal livello della campagna spesso più basso del mare Adriatico. Ciò ha comportato sin da tempi remoti la necessità di controllare le acque, per evitare impaludamenti. L'azione dell'uomo nel Delta, tra ‘800 e ‘900, ha inciso profondamente sull‘ambiente. Dopo il Taglio di Porto Viro, il territorio ha registrato i più rilevanti cambiamenti. Vengono prosciugate ampie zone umide e gli antichi sistemi dunosi sono quasi del tutto spianati. Nelle province padano-orientali la risaia consente un rapido ampliamento della superficie coltivata, l’impiego di un’ingente quantità di manodopera salariale tra cui entra in massa la popolazione rurale femminile (braccianti, pigionanti, disobbligati per un complesso di circa 4-500 ore/ettaro). Dalle terre più densamente popolate del padovano e dell’alto Polesine si esporta manodopera verso le risaie ostigliesi e veronesi. La fertilità del terreno alluvionale ha sempre attratto le grandi famiglie veneziane, padovane e ferraresi che introdussero, talvolta anticipando altre zone agricole, colture nuove redditizie. Per garantire la massima produzione agricola, dall’800 vennero istallate le idrovore per regimare le acque in eccesso. Nei terreni recuperati al mare permanevano tuttavia indici di salinità che imponevano idonee scelte colturali.
Per determinati areali i prodotti tipici rivestono una particolare rilevanza economica, sociale e territoriale.
Sono importanti strumenti di sviluppo economico, di conservazione e rinnovo di valori legati alle tradizioni delle comunità locali. Un prodotto tipico è il risultato dell’interazione di più fattori essenziali: le capacità umane, l’ambiente, la cultura, le istituzioni. Se la filiera riso vogliamo che continui a svilupparsi è quanto mai indispensabile che scuola, università, enti territoriali, camere di commercio, associazioni varie rispondano al territorio in stretta sintonia tra loro.
Sotto il profilo ambientale la risaia è un complesso ecosistema dove convivono molti viventi tra cui pesci, uccelli, rane, insetti e piccoli animali acquatici. Grazie anche a loro l’ecosistema si mantiene in equilibrio.
Alcuni aspetti agro-ambientali risultano tipici dell’ambiente risicolo rispetto ai sistemi colturali intensivi della Pianura Padana: monosuccessione stretta, impiego di elevati volumi di acqua, elevata biodiversità naturale e utilizzo di prodotti fitosanitari, turnover della sostanza organica in anaerobiosi parziale, modesta efficienza della concimazione N, elevate emissioni di GHG (specie CH4), meccanizzazione condizionata da specializzazione, dimensioni aziendali e gestione dell’acqua, maggiore impatto agro-ambientale delle aziende risicole rispetto alle cerealicole.
Questo ecosistema antropizzato, formato da terreno, acqua, riso, fauna/flora, è una fragile nicchia ambientale da preservare entro cui ogni singola componente deve restare compatibile. Per questo il risicultore deve avere come obbiettivo non solo il giusto guadagno, ma anche garantire il rispetto dell’ambiente attraverso l’uso di tecniche agronomiche sostenibili, la rotazione innanzitutto.