La grande eruzione vesuviana del 79 d. C. ha determinato la conservazione fino ai giorni nostri di uno dei più grandi patrimoni archeologici dell’umanità; pochi sanno che in questa area è stato preservato anche quello che può essere definito come il più grande archivio di materiali botanici ed agronomici dell’antichità classica. Il progredire delle ricerche oggi permette di analizzare questi resti di piante con metodologie diverse, che si basano sulla identificazione botanica dei materiali, carbonizzati e non, che sono stati sepolti a seguito dell’eruzione.
Curiosamente, a dispetto della sua grande diffusione soprattutto ad Ercolano, il legno archeologico non ha mai avuto grande attenzione da parte degli specialisti, e questo nonostante che si trattasse di un tipo di reperto assolutamente ben visibile da chiunque. L’analisi sistematica del legno archeologico, carbonizzato e non, permette oggi di elaborare una prima ipotesi ricostruttiva del paesaggio forestale dell’area vesuviana duemila anni fa; i dati delle analisi suggeriscono la presenza di una copertura forestale molto diversa da quella attuale, in cui erano presenti a bassa quota sia l’Abete bianco (Abies alba) che il cipresso (Cupressus sempervirens). L’abete bianco era la principale specie utilizzata ad Ercolano nelle costruzioni; questa evidenza assolutamente inattesa ha portato a rielaborare tra l’altro l’habitat di questo albero. Il cipresso è la seconda specie presente ad Ercolano e questo suggerisce che questo albero crescesse spontaneo nelle foreste dell’area campana. Per quanto riguarda il castagno (Castanea sativa) invece i dati hanno messo in evidenza che questo albero fosse utilizzato in area vesuviana per il suo legno e non per la produzione di castagne.
Infine, per quanto riguarda il paesaggio delle coltivazioni erbacee, vale la pena riportare il dato pollinico relativo al porto romano di Napoli, che documenta la probabile coltivazione di broccoli (Brassicacee) tra Napoli e il Vesuvio già in questa epoca.