Il finocchio selvatico

di Mauro Cresti, Claudia Faleri, Graziano Tremori, Claudio Milanesi
  • 04 December 2024

l Finocchio selvatico (Foeniculum vulgare Mill. ssp. capillaceum, var. vulgare) è una Ombrellifera erbacea annuale che cresce spontanea ai margini dei campi coltivati e nei bordi delle strade. Di questa specie esistono due sottospecie: la piperitum o finocchio arancino o pepato, tipico delle zone aride, poliennale con fusto pieno, foglie e ombrelle molto piccole e frutti di odore e sapore molto piccante e la capillaceum con foglie e ombrelle più grandi e frutti dal gradevole odore e sapore. Quest’ultima sottospecie comprende altre tre varietà coltivate: la vulgare, coltivato soprattutto per i suoi fiori ricchi di fencone composto amaro e resinoso adatto per aromatizzare prodotti lievitati, carni e insaccati (come la famosa “finocchiona IGP”), la dulce con acheni di odore simile all’anice e sapore dolciastro dovuto alla ricchezza di anetolo usati per tisane per bambini che hanno coliche di aria e infine l’azoricum coltivato per il grumolo bianco costituito da guaine fogliari basali carnose.
Il finocchio selvatico è una pianta indigena del bacino del Mediterraneo e mentre gli antichi Egizi lo consideravano un alimento afrodisiaco, nella Grecia classica il finocchio spontaneo cresceva nella piana di Maratona e per questo era chiamato “màrathon”. Sono poi gli Etruschi che lo utilizzavano per preparare zuppe e insaporire carni e arrosti mentre Dioscoride famoso medico ne raccomandava i semi per favorire la secrezione lattea (azione galattogena) ma anche per reprimere l’appetito dei legionari durante le lunghe marce forzate. Nel Medioevo i cantinieri per mascherare la qualità scadente dei vini offrivano semi di finocchietto ai compratori e lo stesso stratagemma era praticato pure nelle osterie. Oggigiorno il finocchietto è coltivato in vari Paesi europei come Italia, Francia e Spagna ed extraeuropei quali Egitto, India, Siria, Iran, Cina, Messico e Argentina e nel nostro Paese la coltivazione di questa Ombrellifera è molto diffusa nel meridione ma anche in alcune regioni del centro come la Toscana. Nel Comune di Cortona in piena Valdichiana aretina, un giovane imprenditore ha riconvertito la sua azienda, abbandonando le colture tradizionali di tabacco, cereali e girasole per dedicarsi con impegno e passione alla coltivazione di questa ombrellifera come metodo integrato. In particolare, quest’ultimo qualche lustro fa, selezionando semi autoctoni che crescevano spontanei nelle colline e nelle montagne del cortonese, ha iniziato questa redditizia coltivazione ed oggi è uno dei più grandi coltivatori italiani di finocchio selvatico amaro. Da analisi di laboratorio le qualità organolettiche della produzione sono di gran lunga superiori a quelle del finocchietto presente in commercio e di provenienza estera e il continuo aumento della domanda di fiori essiccati e acheni, sostenuta da un buon prezzo, anno dopo anno ha visto crescere la superficie coltivata che oggi supera 20 ettari. C’è da dire che la coltivazione di questa ombrellifera resta comunque molto impegnativa soprattutto nelle fasi di raccolta e distribuzione. Il terreno deve essere di medio impasto con pH neutro e soprattutto ben drenato per evitare dannosi ristagni idrici. Tra l’altro per evitare fenomeni di stanchezza e problemi fitosanitari, quella del finocchietto è una coltura da rinnovo che va alternata a coltivazioni compatibili. Per tali ragioni prima di iniziarne la coltivazione è raccomandata un’analisi fisico-chimica del suolo per conoscerne e poi correggerne eventuali carenze o eccessi nutritivi e al momento della semina è raccomandata un’aratura profonda e concimazioni di fondo con sostanze organiche di letame maturo mentre successivamente è consigliato ricorrere ad areazione dei terreni a sovescio con favino. Alla lavorazione principale seguono i lavori complementari per affinare il terreno ed avere un buon letto di trapianto. Il finocchietto in germoglio è anche commercializzato da alcune strutture vivaistiche locali e in aprile, prima della coltivazione, le piantine per superare il trauma del trapianto e per un migliore sviluppo radicale saranno irrorate in sospensione micorrizica di Trichoderma atroviride. Le giovani piantine sono poste a dimora a 110 cm di distanza tra le file e 42 cm sulla stessa fila, durante la crescita è buona regola verificare la presenza di infestanti come lepidotteri per intervenire, se necessario, con prodotti biologici mentre durante la sarchiatura è opportuno apportare azoto nitrico. Per incrementare l’allegagione in alcuni casi si mettono gli alveari che offrono poi un miele aromatico dal gusto di finocchio selvatico. La raccolta inizia nel mese di giugno e si protrae fino a settembre e richiede molta manodopera specializzata in grado di monitorare la scalarità di comparsa delle ombrelle che una volta raccolte sono immesse in appositi tunnel in grado di schermare l’azione diretta dei raggi solari ed evitare di far evaporare gli oli essenziali e iscurire il prodotto. Dopo circa una settimana le ombrelle trasferite in laboratorio subiscono un trattamento per separare gli steli dai fiori essiccati. In genere la resa media del prodotto si aggira sui 250 Kg/Ha di fiore secco e spesso l’ultimo raccolto a settembre effettuato con una macchina dedicata è destinato alla raccolta per la nuova semina. La coltivazione di finocchio è abbastanza remunerativa ma senza i contributi comunitari i tremila euro ad ettaro di ricavo non basterebbero a coprire le spese sostenute mentre è interessante salvaguardare questa produzione autoctona fatta da appassionati e apprezzata da un numero esiguo ma crescente di consumatori.  

Letture consigliate: G. Santiccioli, G. Tremori, M. Mearini.  Il Finocchio selvatico (Foeniculum vulgare Mill ssp capillaceum Gilib. Var. vulgare Gilib.), Ed. AMV Studio. Cortona, 2021.