Nei nuovi sistemi agricoli, le leguminose da granella (fagiolo, fava, pisello, cece, lenticchia, cicerchia, lupino, soia) rivestono un ruolo cruciale, poiché forniscono un contributo essenziale alla sostenibilità degli ordinamenti colturali (per la possibilità di fissare nel suolo l’azoto atmosferico e di ridurre l’impiego di concimi di sintesi), al recupero/valorizzazione dei terreni marginali (con indubbi vantaggi sulla tutela di suoli agricoli dall’erosione e sul mantenimento di attività produttive anche in zone svantaggiate) ed all’auto-approvvigionamento di fonti proteiche, vantaggioso sia per gli umani che per il settore zootecnico, soprattutto quello condotto in regime biologico, che prevede l’impiego di mangimi prodotti in azienda.
Le prospettive? Una questione di resa.
Seppure favorite dalla Pac, il futuro di queste colture dipende dalla performance e dalla competitività delle relative filiere. La ricerca e l’innovazione devono impegnarsi a sviluppare varietà più adatte ai diversi impieghi e fornite di resilienza agli stress ambientali.
L’innovazione varietale trova un valido supporto nella ricca biodiversità genetica disponibile e in nuove metodologie di breeding che velocizzano i processi di selezione. In particolare, nella disponibilità di specie modello con genoma sequenziato (Medicago truncatula) che presenta estese sintenie con regioni cromosomiche di altre leguminose. Ciò fornisce l’opportunità di identificare sequenze di DNA associate a caratteri utili (marcatori molecolari) da utilizzare in tecniche di selezione assistita. Ovviamente, lo sviluppo di progetti di ricerca di base e applicata, di ampio respiro, necessita di un sostegno finanziario congruo e continuativo nel tempo.
I semi commestibili delle leguminose da granella, disponibili allo stato fresco o secco, hanno da sempre rappresentato la base della dieta mediterranea e potrebbero essere un buon sostituto della carne negli opulenti paesi occidentali. Infatti, sono la principale fonte di proteine di origine vegetale: allo stato secco ne contengono dal 20 al 40%, una percentuale quasi doppia rispetto a quella dei cereali e molto vicina a quella dei prodotti di origine animale. Dal punto di vista della qualità, le proteine dei legumi sono ricche di lisina e carenti di amminoacidi solforati essenziali (metionina, cisteina e cistina) presenti nei cereali: l’abbinamento ha portato al tradizionale e completo piatto unico “pasta e fagioli” che ha rappresentato il vessillo per lungo tempo della dieta mediterranea.
Sarebbe però riduttivo considerare i legumi solo in relazione al contenuto in proteine; apportano pure una quota di amido a basso indice glicemico (amido resistente), formato principalmente da amilosio (molecola con struttura lineare che a contatto con l’acqua si rigonfia poco ed è più difficilmente aggredita dalle amilasi intestinali) rispetto all’amilopectina (che ha struttura ramificata, gelatinizza di più ed ha più siti di attacco da parte degli enzimi digestivi). Questi alimenti glicosurici, caratterizzati da amidi a lento assorbimento, sono un antidoto all’insorgenza dell’insulino-resistenza, a sua vota prodromo del diabete di tipo II.
A ciò concorre anche l’elevato apporto di fibre, sia solubili che insolubili, che hanno effetti protettivi sulla funzionalità intestinale e rallentano l’assorbimento di zuccheri e grassi, contribuendo quindi a modulare i livelli di glicemia e di colesterolo nel sangue. Inoltre, le fibre che arrivano indigerite nel colon vengono fermentate generando composti a catena corta che agiscono da prebiotici per la microflora intestinale (microbiota): rappresentano, infatti, una importante sorgente di carbonio per le cellule batteriche, promuovendone un aumento del numero e della loro biodiversità. La fibra insolubile, invece, non viene fermentata e, rimanendo intatta, migliora il transito intestinale aiutandoci a eliminare più velocemente sostanze che potrebbero danneggiarci. Tutto questo è noto per essere un fattore di protezione verso alcuni tipi di cancro, in particolare quello del colon.
A ciò si aggiunge una ridotta presenza di grassi (dal 2 al 5% del peso secco dei semi) e una abbondanza di preziosi micronutrienti: dai minerali (in particolare ferro, selenio, zinco, calcio, fosforo e potassio) alle vitamine (soprattutto del gruppo B e, in quelli che si possono consumare freschi, come piselli e fave, anche vitamina C) ed alle sostanze bioattive (come fitosteroli, saponine, fitati e acidi fenolici) che concorrono alla protezione dalla insorgenza delle malattie croniche.
No al gonfiore
Generalmente, a certi legumi (fagioli e fave, prima di tutto) è riconosciuta una difficile digeribilità ed è nozione comune che essi provochino flatulenza e altri disturbi digestivi. Ciò dipende dalla presenza, nel tegumento esterno dei semi secchi, di taluni carboidrati, come raffinosio e stachiosio, che non sono eliminati con la cottura e non possono essere digeriti, poiché nell’organismo umano mancano gli enzimi intestinali specifici in grado di attaccare queste molecole: diventano nutrimento dei batteri intestinali, i quali li fermentano producendo gas. Si può ovviare a questo problema consumando i prodotti freschi o surgelati, oppure decorticando i semi secchi, cioè consumandoli privi della buccia; un buon ammollo e una cottura prolungata nella pentola a pressione (a 118° C per 30 minuti) oppure la cottura tradizionale molto prolungata (85° C per due ore) possono attenuarlo fino ad eliminarlo completamente.
É bene inoltre ricordare che abituando gradualmente il nostro organismo al consumo di legumi si può ottenere un notevole miglioramento della loro digeribilità.
I semi secchi contengono, inoltre, due fattori anti-nutrizionali: i fitati, sostanze con la capacità di legare i minerali diminuendone l’assorbimento, e i fattori antitriptici che ostacolano l’azione della tripsina, un enzima necessario per la digestione delle proteine. Questi metaboliti vengono parzialmente eliminati con un ammollo di almeno 12 ore, seguito da cottura prolungata.
Versatilità in cucina
Oltre a trovarsi in commercio praticamente tutto l’anno (freschi, secchi o surgelati), una loro caratteristica è la versatilità di impiego; si possono cucinare in diversi modi: per preparare antipasti, primi, contorni, polpette, salse, insalate. Possono essere associati ai cereali per avere un perfetto piatto unico: dalla pasta e fagioli al riso con piselli ed alle zuppe con farro, orzo o altri cereali; le possibilità sono innumerevoli.
L’esigenza di ridurre l’apporto energetico, e quindi il contenuto in amido, dei prodotti da forno a base di cereali, ha incentivato ricerche sulla trasformazione dei legumi in sfarinati, concentrati e isolati proteici; ciò, allo scopo sia di produrre alimenti meat free e gluten free (carne vegetale ed alimenti plant based adatti a vegetariani, vegani, celiaci e soggetti affetti da gluten sensitivity), sia di ottenere (in mescolanza con farine di cereali) pasta, pane e altri prodotti dietetici da forno (dolci e salati).
Il recupero delle tradizioni e della cucina locale, unito alla maggiore sensibilità del consumatore verso un’alimentazione sana ed a ridotto impatto sull’ambiente, ha promosso un ritorno al consumo di “alimenti di una volta”, prima di tutto dei legumi. A ciò hanno contribuito le moderne strategie di ristoranti che per fidelizzare nuovi clienti diventano “healthy”: cercano di soddisfare i profili dei nuovi consumatori (vegetariani, vegani, semivegetariani) e includono nei menù piatti realizzati con i prodotti della tradizione, apprezzati comunque anche da clienti normali.
Il consumo di legumi è associato alla prevenzione di patologie cronico-degenerative, come le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità, la sindrome metabolica e alcune tipologie di cancro. È difficile identificare un componente specifico a cui ascrivere questi effetti positivi; l’ipotesi più probabile è che il ritorno in auge di questi alimenti negletti arricchiscano la nostra dieta di nuovi preziosissimi sapori ed elementi nutritivi.
Per una dieta variata ed equilibrata è bene includere 2-4 porzioni a settimana di legumi (è quanto suggerito dalle Linee guida nutrizionali); non dovrebbe essere difficile, trattandosi di alimenti che si prestano a molteplici modalità di consumo e possono costituire un primo piatto, un secondo oppure un contorno. Tuttavia, gli italiani non consumano legumi a sufficienza. Dalle rilevazioni sulla popolazione italiana risulta che il consumo medio settimanale è molto inferiore e pari a circa 80 grammi. Teniamo presente che una porzione di legumi freschi corrisponde a 80-120 g, mentre se partiamo dal prodotto secco dobbiamo considerare circa 30-40 g. Si evidenzia, quindi, una distanza tra raccomandazione e consumo, ancora più marcata in alcune fasce di età: più della metà dei bambini italiani (54%) non consuma affatto legumi e solo il 19% li mangia 2-3 volte a settimana. Poichè le abitudini alimentari si costruiscono nell'infanzia è fondamentale che vengano indirizzate verso scelte corrette.