È perfino ovvio far notare che le alte temperature estive esercitano un effetto depressivo sull’efficienza delle bovine da latte forti produttrici, effetto che si indica con il termine “stress termico”.
L’optimum range di temperatura esterna per la bovina è compreso fra 5 e 15°C. Al di sopra dei 15°C l’animale non riesce a mantenere la propria temperatura corporea, ovvero a dissipare l’eccesso di calore prodotto dal metabolismo e quello proveniente dalle radiazioni solari. Aumentano l’irrorazione sanguigna cutanea, la sudorazione e la frequenza respiratoria, con dispersione di notevoli quantità di liquidi. Il risultato è che assistiamo ad un’alterazione significativa della capacità produttiva, come ampiamente documentato dai numerosi lavori scientifici sull’argomento.
Purtroppo, le incidenze delle alte temperature estive e delle siccità prolungate sembrano essere non più eventi eccezionali, per cui il fatto che le bovine da latte possano incorrere nello stress termico, con le negative conseguenze di significativi cali di produzione, sta diventando la regola e non solo nelle regioni temperate.
Tutte queste considerazioni ci vengono ricordate da un articolo comparso sul periodico d’informazione “Dairy Global” del 16 giugno scorso, a firma di Treena Hein, dal titolo “A look at the schrinking dairy sector in Australia”. D’accordo che l’Australia è lontana e l’influenza dei cambiamenti climatici, siccità ed inondazioni, potrebbe non essere altrettanto disastrosa da noi. Tuttavia, prendiamo coscienza della situazione.
L’articolo riferisce che 25 anni fa nello stato Victoria in Australia c’erano circa 7400 allevamenti di bovine da latte. Adesso non arrivano a 2800. Solo l’anno scorso l’8% degli allevamenti da latte ha chiuso l’attività, insieme a 11 stabilimenti industriali legati al settore.
Secondo l’articolo di Dairy Global, che riporta un comunicato della Australian Brodcasting Corporation, le cause di tutto ciò si possono far risalire, per l’Australia, alla grande siccità degli anni 1996-2010, che ancora oggi interessa molte vaste zone, spingendo in alto i prezzi dei mangimi e dell’acqua, per non parlare della ridotta produttività delle bovine, stressate dai picchi termici. In aggiunta a tutto ciò sta aumentando la frequenza di eventi meteorologici eccezionali come le forti piogge localizzate e le improvvise inondazioni.
L’allevamento delle vacche da latte è visto da molti in maniera negativa, come se i bovini allevati fossero i principali responsabili delle emissioni di gas serra climalteranti. È un’esagerazione, presa per vera, troppo spesso in malafede, per distogliere l’attenzione sui veri inquinatori che utilizzano fonti energetiche fossili.
I due principali argomenti tecnico-scientifici di discussione riguardo ai problemi connessi al settore della produzione del latte bovino sono, dunque, da anni: a) le emissioni di gas serra climalteranti prodotte dalle fermentazioni enteriche, e b) la scarsa tolleranza alle alte temperature da parte delle bovine, gran parte delle quali appartiene a razze selezionale nelle regioni del nord Europa.
È un cane che si morde la coda. Da una parte l’allevamento degli animali da latte contribuisce all’aumento della temperatura del nostro pianeta con le emissioni di CO2 e metano (Il riscaldamento globale, le emissioni di gas serra da parte dei bovini e la sostenibilità della produzione di latte. Georgofili INFO, 8 novembre 2023) e dall’altra la temperatura media dell’ambiente è un ostacolo alla produzione, essendo mal tollerato dalle bovine, tanto da guardare alla opportunità di impiegare per la produzione di latte specie animali diverse, come i camelidi (Il latte di cammella e i suoi derivati potrebbero presto entrare nella nostra dieta a vantaggio dell’ambiente. Georgofili INFO, 5 giugno 2024).
Nonostante ci sia la possibilità di produrre un latte artificiale (Non bastava la carne “coltivata”, presto arriva anche il latte sintetico. Georgofili INFO, 24 gennaio 2024), il latte naturale continua ad essere preferibile da molti punti di vista, non ultimo il valore nutrizionale.
Come uscire dal problema? La FAO cerca per il momento di rispondere al quesito con i due programmi “FAO strategy on climate change” e “Strategic frame work 2022-2031”, ma nel frattempo da qualche parte arrivano segnali preoccupanti di contrazione del numero di allevamenti, come apprendiamo dall’articolo di Treena Hein.
Staremo a vedere.