Nel linguaggio corrente ricorre spesso la parola efficienza, ma in modo generico senza riferimento al suo contenuto implicito: il rendimento. Notoriamente nelle trasformazioni termodinamiche, quindi nelle macchine termiche, il rendimento è funzione della differenza di temperatura fra la sorgente calda, a cui avviene la combustione, e quella fredda a cui i prodotti della combustione vengono restituiti all’ambiente esterno. Questi vincoli hanno spinto verso l’aumento della temperatura di combustione che, grazie ai miglioramenti nella tecnologia dei materiali - ecco il motivo del ricorso ai ceramici … - ha consentito rendimenti dei motori a ciclo diesel superiori al 40% e a livello sperimentale del 45%. Se ciò è imposto dalle leggi della fisica e dal comportamento dei materiali, ben peggiore è la situazione reale nella quale il rendimento dei motori agricoli si attesta intorno al 20% . Ciò perché il rendimento dipende dalla percentuale di potenza erogata e dal regime di rotazione: il 40% si verifica in un ambito molto ristretto, in quella che nelle curve degli isoconsumi uso definire ai miei studenti “isola felice”.
Nell’ambito agricolo al problema del rendimento del motore si aggiunge quello della trasmissione e della trazione, ovvero dell’aderenza e dello slittamento. Ma concentriamoci sulle trasmissioni la cui funzione di cambio di velocità è nota, ma meno, sotto il profilo energetico o del lavoro, quella di adattatore di coppia, di quella motrice a quella resistente. Per questo, oltre che per ragioni ergonomiche, sono nate soluzioni sempre più complesse arrivando ai variatori continui di recente generazione (commercialmente noti come i vario) in cui la trasmissione si suddivide in due rami: uno meccanico e uno oleodinamico. Ma mentre il rendimento della parte meccanica se ben realizzata presenta un rendimento accettabile (il rendimento di una buona coppia di ingranaggi è pari al 99%), quello oleodinamico è per lo più modesto e solo in un ambito ristretto dell’ordine 90%. Tali trasmissioni, quindi, hanno mediamente rendimenti più scadenti di quelle tradizionali e solo un software, che cerca di far funzionare il motore nei pressi dell’isola felice, rende accettabile il rendimento complessivo della trattrice. Se i grandi costruttori sono stati costretti a inseguire questa soluzione introdotta dalla Fendt circa 10 anni fa, recentemente alcuni, John Deere, propongono soluzioni alternative come il cambio a doppia frizione (interamente meccanico) di derivazione automobilistica e con la collaborazione di WW Group.
Volendo mantenere i vantaggi ergonomici e operativi delle soluzioni vario sarebbe opportuno dividere la trasmissione in un ramo meccanico e in uno elettrico . Generatori e motori elettrici presentano rendimenti per lo più superiori al 90-95% e, quindi, sotto il profilo energetico il vantaggio è sensibile. Se, infine, vogliamo operare nell’ambito dell’ isola felice, sarebbe opportuno pensare a innovazioni radicali, a soluzioni ibride che garantiscano al motore termico di funzionare con rendimenti prossimi al 40% immagazzinando l’energia prodotta in accumulatori da cui prelevare quanto serve per fare fronte alla coppia resistente. Si tratta, cioè, di derivare dalle nuove tecnologie in ambito automobilistico quanto serve per realizzare trattrici agricole più efficienti, ovvero con rendimenti complessivi di gran lunga migliori.
L’innovazione è radicale e richiede competenze ed esperienze non ancora presenti nell’ambito dei costruttori di trattrici agricole. Sono, pertanto, prevedibili e auspicabili accordi di collaborazione, o di partnership fra i grandi players mondiali dei mondi agricolo e automobilistico che potranno cambiare il quadro della produzione delle macchine agricole.