Ciò che il libro Dalla Terra alla Luna di Jules Verne narrava, nel 1865, anno della sua uscita, sembrava pura immaginazione e nulla più. Eppure un secolo dopo si è avverato, e l’uomo per la prima volta ha messo piede su un altro corpo celeste. Dall’allunaggio ad oggi i progressi fatti nella conoscenza dello Spazio sono enormi. Il 2015 è stato un anno fondamentale nell’esplorazione spaziale, perché si è raggiunto il limite estremo del nostro Sistema Solare con la sonda americana New Horizons, che a dieci anni dalla sua partenza è arrivata a fotografare Plutone. Il lato triste di questo esaltante traguardo è che almeno per ora il viaggio verso pianeti più lontani si ferma qui. Infatti, ci vorrebbero 70.000 anni per raggiungere Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole, che è il tempo di circa 3.000 generazioni umane. Ciò non ci deve scoraggiare, e deve semmai rappresentare lo stimolo a indagare meglio quello che abbiamo entro il Sistema Solare. Ed in effetti già da tempo le varie agenzie spaziali hanno rivisto le proprie strategie, puntando su obiettivi meno remoti e possibilmente remunerativi. Quali, ad esempio, la ricerca di elementi rari negli asteroidi e la creazione di una base autosufficiente su Marte. Questa base dovrà contare solo sui materiali recuperati dai mezzi di navigazione e su quelli presenti sul pianeta. E a tale scopo anche il suolo sarà chiamato a svolgere la sua parte, in primis per le coltivazioni in serra, una volta liberato di alcune sostanze tossiche, quali superossidi e perclorati. Dal punto di vista chimico, infatti, il suolo marziano sembra contenere tutti i maggiori nutrienti per la pianta, tranne forse l’azoto. Ma al di là della sua potenziale fertilità, il suolo di Marte è un vero suolo? Gli scienziati dello spazio usano termini vari e spesso impropri per definirlo, mentre quelli che si occupano specificamente di suolo raramente si son pronunciati a riguardo. Il concetto di suolo è stato da sempre associato a quello di vita, perché sul nostro pianeta le due cose sono quasi inscindibili e gli organismi viventi sono uno dei fattori principali della pedogenesi. Ciononostante vi sono anche suoli virtualmente privi di vita – come quelli delle Dry Valleys dell’Antartide o del deserto di Atacama in Cile – a causa della indisponibilità di acqua liquida. E allora perché non dovrebbero essere considerati suoli anche quelli di Marte, e con essi tutti i depositi di materiale incoerente degli altri corpi rocciosi del Sistema Solare dove siano stati riscontrati chiari segni di alterazione chimica (tale da aver cambiato la composizione del materiale di partenza), che per l’autore è la vera essenza del concetto di suolo? Su questa base Venere, Marte e la nostra Luna presentano suoli, mentre possibili altri candidati in tal senso sono Mercurio, il pianeta nano Cerere, due lune di Giove – Io ed Europa – quelle di Marte – Phobos e Deimos – ed una pletora di asteroidi.
L’articolo è tratto dalla relazione svolta dal prof. Certini al workshop su “La Scienza del suolo tra passato, presente e futuro”, che si è svolto all’Università ca’ Foscari di Venezia lo scorso 28 settembre (v.Georgofili INFO,
http://www.georgofili.info/evento.aspx?id=2243) e nel quale è stato ricordato il contributo scientifico e il lavoro svolto per tutta una vita dall’accademico emerito
Prof. Fiorenzo Mancini, comparso nell’ aprile 2015. (v.Georgofili INFO ,
http://www.georgofili.info/detail.aspx?id=2291)
From the Earth to the Moon … and beyond
What Jules Verne’s book From the Earth to the Moon recounted in 1865, the year of its publication, seemed nothing more than pure imagination. However, just one century later, it has become true and man has set foot on a different planet for the first time. Since the first moon-landing up ‘til today, enormous progress has been made in our knowledge of space. 2015 has been a fundamental year vis-à-vis space exploration because the extreme boundary of our solar system has been reached by the American space probe New Horizons that, ten years after its departure, has been able to photograph Pluto. The sad aspect of this thrilling milestone is that, at least for now, the journey towards more distant planets stops here. In fact, it would take 70,000 years to reach Proxima Centauri, the star nearest the sun, which is the time equivalent of 3,000 human generations. This should not discourage us though. If anything, it should represent an incentive to better investigate what we have within our own solar system.