Il legno di castagno rappresentava in passato la naturale fonte di materia prima nella realizzazione dei contenitori per la conservazione e l’affinamento del vino in Toscana e nelle altre regioni appenniniche. Con gli anni il cambiamento dell’assetto dell’agricoltura, il miglioramento e la modernizzazione delle pratiche enologiche e, infine, l’adozione di stili e gusti più internazionali, hanno portato gradualmente all’abbandono del castagno e all’introduzione dei contenitori in rovere.
Il 9 maggio scorso nella sede della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze è stato presentato il progetto ToSca nel quale, con l’aiuto della ricerca svolta dal dipartimento DAGRI dell’Università di Firenze, si approfondiranno le peculiarità e le caratteristiche dei vini fermentati o affinati nei carati di legno di castagno locale, per dare sempre maggiore identità e territorialità all’enologia toscana.
Il progetto ToSca, finanziato nell’ambito della sottomisura 16.2 del PSR Regione Toscana 2014-2022, è il terzo di una serie di progetti destinati a ricreare in Toscana la filiera bosco-vino, che lega il comparto forestale al settore vitivinicolo, dando valore alla produzione legnosa e al tempo stesso recuperando e reinterpretando in chiave moderna un elemento della tradizione enologica toscana quale è la botte di castagno.
“Nei due progetti precedenti, il progetto ProVaCi e il progetto ReViVal, ci siamo chiesti inizialmente da dove venisse il legno con il quale in passato si facevano le botti e l’indagine storica e genetica ha confermato che erano i boschi della Toscana, spesso quelli dell’azienda stessa, a dare il legname, prevalentemente castagno, che veniva utilizzato per realizzare i contenitori presenti nelle cantine”, ha spiegato nel suo intervento Marco Mancini della Fondazione per il Clima e la Sostenibilità, che fino dall’inizio ha seguito questi progetti, nati dall’intuizione di Raffaello Giannini, presidente del comitato scientifico della Fondazione e del suo fondatore Gianpiero Maracchi, scomparso nel 2018. “Successivamente ci siamo posti l’esigenza di creare un modello di gestione forestale adatto per far ripartire la produzione di legno destinato a utilizzi di valore come quello delle botti. Lo scopo è quello di valorizzare i prodotti del bosco, perché se anche solo una piccola parte delle utilizzazioni forestali potessero essere indirizzate verso questa filiera, l’incremento di valore per il comparto forestale potrebbe essere significativo”.
Dopo essere stato abbandonato nell’enologia moderna con l’introduzione soprattutto delle barrique in rovere, e superate alcune criticità legate alla correttezza dei vini e non solo del loro contenitore, il legno di castagno può essere oggi reintrodotto nelle cantine quale elemento distintivo. La necessità che il progetto ToSca andrà a colmare è relativa alla creazione di un modello enologico nuovo e diverso da quello tradizionale delle botti in castagno del passato, grandi e utilizzate molto a lungo senza una particolare attenzione alle cessioni, l’igiene o l’impatto organolettico.
Tra i dati riportati da Mancini quelli sul valore delle possibili utilizzazioni legnose: mentre un metro cubo di cippato prodotto per la produzione di energia viene pagato intorno ai 7 Euro, lo stesso volume di doghe di rovere destinate alla produzione di barrique ha un costo di circa 3000 euro. Di conseguenza per quanto il valore del castagno dei boschi della Toscana non raggiunge quello del rovere e anche se la sua resa di trasformazione dal toppo (il tratto di fusto abbattuto) alla doga è stata valutato nei precedenti progetti intorno al 24%, questa utilizzazione rappresenterebbe comunque un incremento in valore molto significativo.
“Lo scopo” ha spiegato Valentina Canuti del Dipartimento DAGRI dell’Università di Firenze e responsabile scientifica del progetto “è quello di creare le conoscenze e le condizioni perché i produttori possano arrivare a produrre vini riconoscibili nella loro identità e in grado di differenziarsi perché riconducibili al territorio e realizzati con la scelta di stile derivante dall’uso del legno del castagno. La finalità dello studio che ci accingiamo a realizzare è quindi di unire un profilo di identità con un profilo di stile, che sia capace al contempo di valorizzare il modello di Cultural heritage, nel quale un’antica tradizione artigianale viene recuperata e fa da motore per valorizzare le risorse e le filiere locali”.
Nelle attività previste dal progetto ToSca saranno valutate le prestazioni enologiche dei carati di castagno da 250 e 500 litri sottoposti a tre diversi livelli di tostatura e utilizzati sia nell’affinamento dei vini rossi di Sangiovese, sia nella fermentazione e il successivo affinamento sur lies dei vini da uve bianche, Trebbiano e Vermentino. Le prove, con l’applicazione dei protocolli sperimentali messi a punto dall’Università, saranno svolte nelle cantine delle aziende partner, Podere Scurtarola di Massa, capofila del progetto, Castello di Verrazzano di Greve in Chianti e Podere 1808 di Pistoia. I controlli periodici di tipo analitico e sensoriale permetteranno di valutare il profilo qualitativo dei vini e le loro caratteristiche di stabilità chimico-fisica, con lo scopo finale di definire dei protocolli che possano dare indicazioni sulla scelta, la gestione e la durata ottimale per la vinificazione e la maturazione nel legno di castagno. Tutti i progressi, le attività e i risultati saranno pubblicati sul sito della Federazione delle Strade del Vino e dei Sapori della Toscana, anch’essa partner del progetto.
Sulla tecnologia di fabbricazione dei carati in legno di castagno è intervenuto Mauro Gamba della Fabbrica di Botti Gamba che in Piemonte produce botti grandi e barrique, specificando che alcune caratteristiche delle doghe ottenute dai segati, come l’umidità del legno o la presenza di nodi e micronodi, rappresentano punti critici sui quali sarà necessario continuare a lavorare.
I produttori partner del progetto, Giovanni Luigi Cappellini, titolare del Castello di Verrazzano e Pier Paolo Lorieri di Podere Scurtarola hanno infine raccontato le prime esperienze di affinamento rispettivamente di un Sangiovese e un Vermentino toscano nei carati in castagno, per ottenere un prodotto, ha ricordato Cappellini che possa essere corretto, piacevole e al tempo stesso unico e “diverso da qualsiasi altro vino”. Infine, Andrea Triossi ha descritto il progetto di recupero paesaggistico dei vigneti su gradoni del Podere 1808 in provincia di Pistoia, dove il legname dei roveri derivanti dall’esbosco è stato utilizzato per realizzare dei carati in legno locale del volume di 500 litri che saranno utilizzati nell’ambito del progetto.
Ma la proposta di filiera non si ferma alla produzione dei carati per l’affinamento dei vini rossi o la fermentazione e affinamento dei bianchi, in quanto una serie di caratelli più piccoli è già stata realizzata per la produzione del Vin Santo, mentre altri saranno testati nella produzione della birra artigianale.
L’approfondimento sul rapporto tra il vino e il legno
L’incontro è stato anche l’occasione per fare il punto sulle conoscenze relative alla relazione tra la qualità del vino e il legno dei contenitori e sullo stato dell’arte delle ricerche svolte negli ultimi anni.
La diffusione delle barrique in rovere, l’impatto sulla qualità del vino e il grande valore economico legato all’industria del vino e del legno hanno infatti mosso negli ultimi decenni una grande mole di studi e ricerche, i cui risultati sono stati in grado di migliorare tutte le fasi della filiera, dalla scelta del legno, alla tecnologia applicata dalle tonnellerie, fino all’uso che delle barrique si fa in cantina.
Un approfondimento sul ruolo del legno in enologia e su quanto la ricerca internazionale sia riuscita a spiegare della composizione e la struttura del rovere in funzione della sua provenienza botanica e geografica è stato proposto nel contributo di Pierre Louis Teissedre, professore di enologia dell’Università di Bordeaux. “Sono molti i composti estratti dal legno, volatili e non volatili, che influenzano la complessità e il profilo organolettico del vino; nelle specie del genere Quercus si parla del 2-10% di sostanze estraibili. Ma la composizione del legno non basta a spiegare la sua azione sul vino in quanto alcuni altri fattori di carattere enologico, come le caratteristiche della matrice stessa, il contenuto in alcol e la temperatura, influenzano le interazioni che si vengono a creare. Inoltre anche alcuni fattori relativi alla fabbricazione influiscono sul risultato qualitativo: l’essiccamento che può essere fatto all’aperto o in modo artificiale per portare il legno dal 65-75% al 14-18% di umidità, e il riscaldamento che porta alla riduzione di composti non gradevoli e alla formazione di nuovi composti, aromatici e non aromatici, diversi a seconda del livello di tostatura e dell’origine botanica”.
Francesco Maioli del DAGRI dell’Università di Firenze ha poi presentato gli studi più recenti del gruppo di ricerca di Ignacio Nevares e Maria del Alamo Sanza, professori dell’Università di Valladolid, dove ha svolto un periodo del suo dottorato di ricerca, indagando sulle trasformazioni che avvengono nel corso dell’affinamento in barrique grazie alle caratteristiche fisiche di permeabilità ai gas proprie del legno, che fanno della doga il luogo di scambio e di reazione tra l’ossigeno e il vino. Il ricercatore fiorentino ha quindi spiegato in che modo l’OTR (Oxygen Transfer Rate) può essere un indice utile a classificare il legno, comprendere le vie di accesso dell’ossigeno nel vino e produrre botti con permeabilità calibrata.
Il processo di continua ricerca e progressivo miglioramento avvenuto per il legno di rovere non può quindi che rappresentare un modello da seguire per individuare e approfondire nel modo più corretto un nuovo corso anche per i carati in legno di castagno.