Con il progetto ReViVal prende forma la filiera legno–vino

Il bosco e il vigneto: una convivenza antica e al tempo stesso attualissima. Il progetto REVIVAL fa da collante tra le filiere forestale e vitivinicola, per dare valore al legno di castagno nella realizzazione di vasi vinari e associare al vino toscano una crescente identità territoriale.

di Alessandra Biondi Bartolini
  • 28 September 2022

Presente nella struttura tradizionale dell’azienda agricola polifunzionale e policolturale fino alla prima metà del 900, il ruolo fondamentale del bosco al fianco del vigneto sta riemergendo nelle esperienze più recenti di agro-forestazione e di progettazione dei territori viticoli, come fornitore di servizi ecosistemici, serbatoio di biodiversità, strumento di mitigazione dei fenomeni di riscaldamento del suolo e elemento paesaggistico chiave nella conservazione dei territori. Ma perché questo rapporto si consolidi è necessario dare valore ai prodotti del bosco e integrare la filiera forestale con quella agricola e viticola.

La storia di un matrimonio in crisi 
È stato più o meno nel momento del passaggio alla monocoltura, con la nascita dell’agricoltura moderna che il bosco ha perso la funzione che aveva avuto fino a quel momento. Persa la capacità di fornire provvigioni riutilizzabili all’interno dell’azienda stessa, per la produzione di calore, di legname da costruzioni, contenitori o paleria ecc, il rapporto tra la filiera agricola e quella forestale è cambiato e si è semplificato. Il bosco è stato talvolta abbandonato e spesso sostituito con altre colture o con destinazioni diverse e in grado di generare un maggiore profitto. Se in alcune regioni viticole il vigneto ha plasmato integralmente il paesaggio, lasciando poco spazio ai boschi residuali e a colture alternative, in altre come la Toscana, la sua consistenza consente ancora di pensare a nuovi progetti per la rivalorizzazione dei suoi prodotti. Uno fra tutti l’uso del legno per la produzione di vasi vinari, botti e caratelli, che nella tradizione erano realizzati per la produzione e la conservazione del vino proprio con il legno dei boschi locali, un uso per il quale in Toscana si è sempre sfruttato fino a un passato abbastanza recente il legno di castagno.

Il vino della casa con i carati dei boschi di casa
Il progetto di recupero della filiera del legno del bosco toscano per la produzione di botti nasce ormai quasi dieci anni fa da un’idea di Giampiero Maracchi e Raffaello Giannini, che insieme hanno cercato di dare una risposta alla necessità di andare oltre alla eccessiva semplificazione legata alla filiera foresta-legno-energia, creando valore dai prodotti del bosco dell’azienda e del territorio e al tempo stesso integrando il mondo forestale con quello agricolo.
“L’incontro delle filiere del legno e della produzione vitivinicola avviene lungo il sentiero tracciato dagli usi del passato idealizzandosi nell’aforisma “produrre il vino della casa con i carati dei boschi di casa” spiega Raffaello Giannini coordinatore scientifico del progetto per la Fondazione per il Clima e la Sostenibilità.
Il primo progetto pilota, ProVaCi, svolto con la partecipazione della Fondazione per il Clima e la Sostenibilità, l’Accademia dei Georgofili e l’Università di Firenze e grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, indagava quindi provenienza delle botti storiche, dimostrandone la provenienza locale grazie all’analisi molecolare, e valutava le possibilità di recupero e valorizzazione della produzione di botti dal legname dei boschi del Chianti. A questo ha fatto seguito il progetto REVIVAL (http://www.climaesostenibilita.it/revival-2019-2021/) recentemente conclusosi con il convegno scientifico tenutosi nell’Aula Magna della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze il 22 giugno scorso. 

REVIVAL - Il vino nel legno: Realizzazione dei Vasi Vinari con Legno locale – che è stato finanziato nell’ambito della sottomisura 16.2 dei Bando GAL-Start della Regione Toscana e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, si è concentrato sul Mugello, regione a forte vocazione agricola e forestale coperta da bosco per il 65% della superficie totale. Partner del progetto sono stati la Fondazione per il Clima e la Sostenbilità per il coordinamento scientifico, due aziende viticole, il capofila Castello di Verrazzano e la Società Agricola Lavacchio, e i partner scientifici, l’Università di Firenze con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI) e il Dipartimento NEUROFARBA di Neuroscienze, Psicologia, Area del farmaco e Salute del Bambino, e il CNR IBE. Ma oltre ai partner istituzionali la rete si è poi estesa ad altre aziende viticole toscane, professionisti, ditte di lavorazione del legno, segherie e fabbriche di botti.
“Dalla gestione forestale, alla produzione delle tavole con le caratteristiche adatte per la produzione delle doghe, la fabbricazione delle botti, e il loro uso in cantina, tutti gli anelli della filiera e della catena produttiva dei carati in castagno sono stati coinvolti nel progetto ReViVaL” ha spiegato Marco Mancini della Fondazione Clima e Sostenibilità
Un progetto perfettamente in linea con i fabbisogni e lo sviluppo sostenibile del territorio del Mugello, i Comuni e le Istituzioni che lo vivacizzano, che hanno accolto con entusiasmo questa nuova possibilità di dare valore ai prodotti del bosco, come ha riportato Stefano Santarelli del GAL Start, soggetto finanziatore del progetto, e che allo stesso tempo risponde alle esigenze di sostenibilità e di costruzione di un nuovo modello agricolo, forestale e produttivo, aderente ai goals dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ha ricordato Simone Orlandini, presidente della Fondazione nel suo saluto.
Le fasi del progetto hanno interessato il rilievo dei boschi di castagno, la selezione del legname adatto alla produzione delle doghe, la loro segagione, la messa a punto di un sistema di selezione dei fusti e delle tavole, la caratterizzazione chimica e fisica del legno, la realizzazione dei carati dal volume di 250 litri e infine il loro utilizzo presso le aziende vinicole partner, per la maturazione del Sangiovese.

I risultati: le conoscenze e le tecnologie più adatte per produrre botti in castagno di qualità
L’indagine svolta ha permesso di mappare la distribuzione e l’estensione degli 11.000 ettari di bosco di castagno, circa il 15% della superficie boschiva dell’area di indagine dei nove comuni del Mugello, e successivamente, ha spiegato Davide Travaglini dell’Università di Firenze, di stimare le provvigioni legnose disponibili, cercando anche di dare informazioni sulle produzioni in termini di capacità di accrescimento. 
Per ricreare la filiera e distribuire il valore in ogni passaggio, sono stati poi realizzati degli strumenti che possano servire agli operatori, dalle imprese forestali alle segherie, per selezionare in modo semplice i fusti adatti e privi di difettosità, creando delle griglie per classificare la qualità gli assortimenti da destinare alla produzione di doghe. “Rispetto ad altri utilizzi di segheria per i quali alcuni difetti possono essere considerati trascurabili” ha spiegato Marco Togni dell’Università di Firenze “la presenza di nodi, gallerie di insetti e altri problemi, può compromettere la tenuta dei vasi che si vanno a realizzare. È necessario quindi operare una selezione quanto più possibile attenta ad ogni stadio, dal bosco, prima e dopo il taglio, alla segheria, allo scopo di migliorare le rese nelle lavorazioni di realizzazione della doga”. 
Una parte importante dello studio ha riguardato la valutazione della composizione chimica e delle proprietà fisiche delle doghe ottenute, oltre che delle conseguenze sui composti volatili e non volatili estraibili del trattamento di tostatura del legno, in comparazione con i campioni di riferimento di legno di rovere.
I risultati, presentati da Bernardo Grossi e Benedetto Pizzo del CNR IBE, hanno evidenziato una particolare concentrazione di alcuni composti caratteristici, possibili marker per la qualità dei vini che se ne otterranno, sia tra quelli volatili, come le pirazine e gli esteri etilici a lunga catena, sia tra i non volatili, tra i quali l’estratto del legno di castagno risulterebbe particolarmente ricco in acido gallico ed etil gallato.
Il Dipartimento Neurofarba ha ricercato nel vino la presenza di composti ceduti dal legno di castagno con possibile attività nutraceutica, concentrandosi come ha spiegato Gianluca Bartolucci, in modo particolare sui lignani e i loro glicosidi, prodotti dalla pianta con funzione di protezione dagli agenti microbici e trasformati a livello intestinale quando ingeriti, in enterolignani, molecole con attività anti-infiammatoria, antimicrobica e ormono-simile.
L’utilizzo dei carati in comparazione con l’uso della barrique di rovere è stato valutato presso le cantine partner, Castello di Verrazzano e Fattoria di Lavacchio e con il contributo di alcuni professionisti, agronomi ed enologi, come Francesco Rossi e Pierpaolo Lorieri, che hanno condotto le loro esperienze anche in realtà enologiche diverse, rispettivamente la Maremma e i Colli del Candia.
La qualità dei vini affinati nel legno di castagno è stata valutata con la collaborazione di Monica Picchi del DAGRI Università di Firenze, attraverso un metodo descrittivo semplificato, denominato Nappingâ, che fornisce informazioni su come i prodotti esaminati vengono percepiti in termini di differenze e similitudini. I risultati forniscono delle prime informazioni di carattere qualitativo, ha spiegato la ricercatrice, ed è possibile osservare che le differenze tra i vini maturati in rovere e in castagno sono percepibili, sia a livello olfattivo che gustativo e tattile, ed essendo i secondi descritti con termini riconducibili ad una maggiore astringenza,  si suggerisce un ulteriore approfondimento di tipo enologico.
Giovanni Cappellini, proprietario del Castello di Verrazzano di Greve in Chianti, capofila del progetto, ha da subito creduto e investito molto nell’idea e nella realizzazione di un vino prodotto nel legno dei boschi locali: “Il percorso è stato lungo e articolato, perché si è trattato di studiare in cantina dei protocolli di lavorazione dei vini diversi da quelli già applicati e più adatti, in quanto le caratteristiche del castagno sono completamente diverse dal rovere. Alla fine lo sforzo è però stato ripagato dall’ottima accoglienza che i clienti hanno dato a questo prodotto, riconosciuto come originale, e che Daniele Cernilli noto giornalista e critico enogastronomico, ha descritto come “un vino che non assomiglia a nessun altro".