Si va rafforzando la persuasione che la scienza sia il possibile schermo di un sistema di potere economico occulto. La diffusione del pregiudizio antiscientifico è a misura di quella del risorgente pregiudizio anti capitalista. La ‘cultura del sospetto’ non è tanto l’ingenuo riflesso di un’opinione pubblica ignara dei progressi della scienza moderna, quanto una manifestazione della più diffusa sindrome politica contemporanea (Carmelo Palma, 2017).
Ho preso questa frase come incipit di questa riflessione perché trovo che si attagli perfettamente alla situazione che interessa gli alberi nel nostro Paese in cui, per esempio, una specie di manifesto elettorale di una lista civica di un comune del Nord Italia, al primo punto del programma si chiede, anzi promette, un
“abbassamento drastico di tutte le piante di alto fusto”.
Non voglio ancora tornare sull’argomento capitozzatura da me già ampiamente e anche noiosamente dibattuto ma, come al solito, annichilisco di fronte a quella che è una situazione paradossale, come questo scellerato intervento, che non solo viene accettato dai cittadini come “normale”, ma che, anzi, viene richiesto a gran voce, implicando l'impossibilità di qualunque reazione da parte di chi cerca di far ragionare, creando la classica situazione kafkiana.
Tutti abbiamo visto il disastro ambientale causato dal ciclone di fine ottobre (e da altri precedenti) che ha colpito il nostro paese e siamo rimasti sconcertati di fronte a tutti gli alberi che sono stati abbattuti. Però cosa è che adesso si chiede a gran voce? Capitozzature e abbattimenti, perché il pericolo non è il cambiamento climatico e gli eventi estremi. Il pericolo sono gli alberi, cioè chiediamo di aggiungere disastro al disastro.
Io stesso ho detto più volte che è necessario un rinnovo delle nostre alberature (mi riferisco soprattutto a quelle poste su strada), ma ciò non vuol dire abbattere indiscriminatamente.
Vuol semplicemente dire che dobbiamo riflettere su ciò che sarà o, meglio, dovrà essere la nostra città e, quindi, ragionare in termini di “gestione versus rinnovamento”, ponendosi, cioè, la domanda: ha senso (economico, ecologico, tecnico...) gestire qualcosa che sappiamo non essere adatto e potenzialmente rischioso, oppure è meglio pensare a un graduale ricambio di quegli alberi che presentano problematiche tali da risultare poco facilmente mantenibili?
I nostri politici e i cittadini devono aver ben chiaro che il concetto di aree verdi rinnovate e sostenibili non può restare una fumosa dichiarazione di intenti e non si esaurisce certo a mezzanotte del 21 novembre quando i riflettori si spengono sulla Giornata Nazionale dell’Albero, ma deve essere realizzato da adesso per “costruire” la città del 2050 o più in là. La mancanza di un reale impegno politico su questo porterà a un peggioramento dei problemi urbani, anche perché alcuni settori delle nostre comunità stanno sviluppando un crescente disincanto verso di esso.
La nuova retorica urbana del politico, dei media e, purtroppo, anche di alcune riviste specializzate, non riesce a capire pienamente la realtà della nuova 'urbanistica' e ciò è piuttosto grave, poiché non si percepisce appieno il fatto che molte delle nostre città sono in un punto nel ciclo urbano di vita del sistema in cui c’è un veloce spostamento da un'economia industriale a un’economia post-industriale e, quindi, sono al di là della fase di maturità stabile e stanno entrando in un ciclo di declino (a parte l’esempio di Milano non vedo nel nostro Paese un reale piano per il futuro prossimo venturo).
Le città italiane si trovano di fronte all'invecchiamento e, talvolta, alla contrazione della popolazione e dovranno impegnarsi al massimo, in un futuro non troppo lontano, per fornire servizi decenti, finanziariamente sostenibili e una buona qualità della vita dei residenti. E gli alberi possono e devono contribuire in modo sostanziale.
Il verde pubblico deve perciò assumere aspetti e funzioni sempre più precisi e differenziati ed essere organizzato in un vero e proprio “sistema” continuo: dal verde sotto casa per i più piccoli, al parco-giochi a distanza pedonale, al verde di quartiere con impianti sportivi elementari, al verde di settore urbano con attrezzature più complesse e specializzate, fino alla grande area naturale al servizio dell’intera città e del territorio circostante e non agli alberelli stenti piantati il 21 novembre dell’anno X, che spesso il giorno dopo sono già dimenticati.
Il minimo comune denominatore di questo non può che essere il cambiamento del nostro modo di pensare e del nostro stile di vita. Questi cambiamenti sono sempre accaduti dalla comparsa dalle prime civiltà. Questa volta sarà sicuramente più complicato perché tutto sta accadendo in un tempo molto breve, compatibile con la vita di una generazione. La pianificazione, progettazione e realizzazione di aree verdi più sostenibile a livello sia ambientale, sia socioeconomico, in combinazione con un cambiamento nel nostro modo di vivere, potrebbe essere la strategia vincente anche per contenere il consumo energetico e salvaguardare l’ambiente e la crescita sociale.