Il riscaldamento globale minaccia l’agricoltura anche in Europa, un continente non immune dal problema della sicurezza alimentare. Le principali colture, come grano e mais, non solo rendono meno in termini quantitativi, ma rischiano anche in termini qualitativi. Specialmente nel sud, dove il clima diventa più caldo e secco, è l’ora di adattarsi. L’Europa è il più grande produttore mondiale di grano, il secondo cereale più coltivato al mondo dopo il riso, un cereale che patisce particolarmente i colpi di calore. Il caldo torrido, infatti, può accelerare la sua maturazione, determinando una riduzione nei raccolti.
Uno studio appena pubblicato su Nature dimostra come gli eventi climatici estremi e avversi – che il cambiamento climatico sta esacerbando in portata e frequenza – siano una minaccia grave alla produzione di grano. Usando gli ultimi modelli climatici combinati alle più recenti stime sulle emissioni di gas a effetto serra, i ricercatori hanno mostrato come gli eventi climatici avversi aumenteranno in maniera sostanziale entro il 2060, e come – data l’oramai appurata correlazione negativa tra caldo estremo e raccolti - ciò si tradurrà probabilmente in un più frequente fallimento dei raccolti di grano nel Vecchio Continente.
Dal 1980, con il progressivo aumento delle temperature, gli agricoltori che si dedicano alle colture di grano, mais e orzo hanno già visto diminuire i raccolti - anche se, oltre a quello climatico, altri fattori possono aver contribuito a tale declino. Con l’aumento di temperatura previsto per il 2040, dicono ora gli scienziati, i raccolti di grano e orzo si ridurranno di oltre il 20%, mentre quelli di mais di circa il 10%. Entrambe le ricerche mettono in rilievo l’importanza dell’adattamento agli impatti del cambiamento climatico da parte degli agricoltori europei nei decenni a venire. Adattarsi vuol dire studiare una serie di misure - dall’uso di varietà colturali o colture diverse a quello di sistemi d’irrigazione più adatti - basandosi sulle tecnologie attualmente disponibili, per ridurre gli impatti negativi del riscaldamento globale.
La novità dello studio di Stanford sta nel fatto che i ricercatori hanno misurato le potenzialità di adattamento dell’agricoltura europea: se alcune colture hanno possibilità sostanziali di riduzione delle perdite, fino all’87%, con un adattamento a lungo termine, per altre – come grano e orzo - il potenziale è molto limitato. È il mais la coltura con il più alto potenziale d’adattamento.
C’è un aspetto, o meglio un effetto, che finora non era emerso: la maggior concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera peggiorerà la qualità nutritiva del cibo che mangiamo. La collaborazione tra otto istituzioni scientifiche internazionali, Harvard in testa, ha permesso uno studio sull’argomento recentemente pubblicato su Nature. La squadra ha simulato le condizioni future, quelle che gli scienziati prevedono per il 2050, in campi all’aria aperta grazie a un sistema chiamato Face (Free Air Concentration Enrichment). Si sono studiate le reazioni di diverse varietà di grano, riso, mais, soia, piselli e sorgo. A crollare in particolare è l’apporto di zinco e ferro: due nutrienti importantissimi la cui carenza nell’alimentazione costituisce già un problema di salute planetario. Per quanto riguarda grano e riso, l’aumentare di CO2 determina anche il declino del loro contenuto proteico. Reggono meglio mais e sorgo, grazie al tipo di fotosintesi caratteristico di queste piante. Considerando che già oggi almeno 2 miliardi di persone soffrono di carenza da zinco e ferro, la riduzione di questi nutrienti rappresenta la più importante minaccia alla salute associata al cambiamento climatico mai dimostrata finora. Secondo gli autori della ricerca, le implicazioni di emissioni più alte di CO2 sulla malnutrizione a livello mondiale sono enormi.
Da: Corriere.it , 4/06/2014