Il concetto di fertilità del suolo è oggi incluso nella definizione della qualità del suolo che attribuisce al suolo non solo la importanza di nutrire e sostenere la crescita delle piante ma anche quello di essere un comparto ambientale essenziale nella salute dell’ambiente in generale incluso l’uomo. Anche al tempo di Waksman era noto il ruolo importante della sostanza organica nel determinare le proprietà chimiche (ad esempio, la capacità di scambio cationica), biologiche (ad esempio, l’attività degli organismi), e fisiche (ad esempio, la struttura del suolo), che insieme costituiscono la fertilità del suolo, ma le conoscenze sulle trasformazioni e composizione della sostanza organica sono migliorate oggi grazie all’impiego di tecniche non conosciute negli anni trenta. In particolare, oggi sappiamo che la biomassa microbica, sebbene costituisca solamente il 2% del carbonio organico del suolo, contribuisce attraverso i residui di cellule morte (necromasse microbiche) sino al 75% della formazione di sostanza organica del suolo. Ciò significa che i residui animali, ma sopra tutto quelli vegetali (perché presenti in quantità maggiore di quelli animali), sono utilizzati dalle cellule microbiche e trasformati in residui microbici prima di entrare a far parte della sosta organica del suolo. L’ impiego di isotopi ha permesso di studiare il “priming effect” (effetto innesco) che è importante per capire le variazioni del contenuto di sostanza organica del suolo, e quindi il ruolo del suolo nello “stoccaggio” del carbonio per contrastare l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera. Le piante attraverso la fotosintesi trasformano il carbonio dell’anidride carbonica in sostanza organica, che può essere “immagazzinata” nel suolo, grazie alla sua interazione con le particelle del suolo e quindi alla sua lenta mineralizzazione ad anidride carbonica. Tuttavia la sostanza organica aggiunta al suolo, sia attraverso i residui vegetali o attraverso le pratiche agronomiche (per esempio, concimazione organica), è in parte mineralizzata ad anidride carbonica dall’attività biologica, ma tale aggiunta può causare il “priming effect”, e quindi la mineralizzazione della sostanza organica già presente nel suolo, se il contenuto di azoto o fosforo di quella aggiunta e non è sufficiente a soddisfare le richieste degli organismi che degradano il materiale aggiunto al suolo. Succede che gli organismi che degradano la sostanza organica aggiunta al suolo, rilasciano enzimi che degradano la sostanza organica già presente per formare azoto e fosforo inorganici necessari per la loro attività di mineralizzazione.
La composizione chimica della sostanza organica è stata effettuata dopo estrazione dal suolo e questo approccio presenta alcuni difetti, quali la parziale estrazione (e quindi la non conoscenza di quella non estratta), la modificazione strutturale di alcuni componenti durante la estrazione, e la non conoscenza della distribuzione eterogenea della sostanza organica nella matrice suolo. Come già riportato (contributo relativo alla prima domanda) oggi abbiamo nuove tecniche che permettono di ovviare a questi problemi. Ad esempio, l’impego della tecnica NanoSIMS consente di visualizzare porzioni di suolo a nano-scala e micro-scala con la possibilità di visualizzare cellule microbiche attive ed anche le interazioni tra sostanza organica e superfici delle particelle inorganiche del suolo. Superfici del suolo che non erano ricoperte da necromasse microbiche, lo diventavano dopo la degradazione microbica dei residui vegetali. Questo processo interessava non solo le superfici delle particelle a contatto con i residui ma anche superfici distanti (centinaia di micron perché siamo a livello di microscala) per opera delle ife dei funghi responsabili insieme ad i batteri della degradazione del residuo vegetale.