Nel mondo oggi si producono circa ventotto milioni di tonnellate di aglio, la Cina è il maggiore produttore (circa ventidue milioni di tonnellate) seguita da India (circa un milione e settecento tonnellate) e Corea (circa trecento mila tonnellate). In Europa e in area mediterranea il primo paese è la Spagna (circa duecentottantamila tonnellate) e il secondo l'Italia (circa trentamila tonnellate) dove l’aglio è coltivato soprattutto in Campania seguita da Emilia Romagna e Veneto. L’aglio era abbondantemente presente e faceva parte della cucina tradizionale italiana con indubbi vantaggi (Ballarini G. - Aglio, l’utilità dell’apparentemente inutile – Georgofili INFO, 7 Febbraio 2018 - ), ma perché oggi sembra stia abbandonandola? (Cesari L. – L’inesorabile declino del pesto con l’aglio – Il Sole 24 Ore, 9 luglio 2023).
Per cercare di dare una risposta a questa domanda è curioso ricordare che nell’antichità il detto Ubi allium, ibi Roma (se senti odore di aglio lì vi è Roma) derivava dall’ampio uso dell’aglio che nella loro dieta facevano i legionari romani, ritenendolo energetico, fortificante e considerato anche pianta sacra a Marte, dio della guerra. L’imperatore Cesare Vespasiano Augusto (9 – 79) a lungo comandante di Legioni a un suo soldato avrebbe detto “Preferirei puzzassi d’aglio”. Se probabilmente altri comandanti di Legione, i romani Gaio Giulio Cesare (101 a. C. – 44 a. C.) e Marco Antonio (83 a. C. – 30 a.C.) puzzavano di aglio, certamente non così la loro amante egiziana Cleopatra Tea Filopatore (70 a. C – 30 a. C.) che usava diversi aromi e profumi (Susinum, Cyprinus e Mendesiano) anche per profumare le vele delle sue navi, ma soprattutto usava il Kyphi, profumo dei faraoni composto da più di sessanta essenze. Questi racconti, a parte la veridicità storica ma non antropologica, indicano che l’aglio ha un aroma di apprezzamento tipicamente maschile. Inoltre per i Romani l’aglio era sacro a Cerere dea dell’agricoltura e degli alimenti dell’antichissima alimentazione mediterranea e di cui l’aglio fa parte.
Da un punto di vista culturale e quindi anche quando nulla si sa delle sue proprietà farmaco-nutraceutiche, l’uso dell’aglio nelle società si mantiene attraverso un imprinting alimentare che inizia già durante la vita fetale. Con il suo forte aroma tipicamente maschile, un tempo presente nei soldati e poi nei ceti rurali contadini, l’uso dell’aglio dà identità e tipicità ad alimenti di poco sapore per chi non può permettersi l’acquisto di costose spezie, come invece fanno le classi ricche. Nascono così una fetta di pane abbrustolita sul fuoco, condita con una goccia d’olio e sfregata con uno spicchio d’aglio e tanti altri piatti della cucina tradizionale delle regioni italiane. Oggi non è più così e in una società non più rurale ma urbana che sempre più si modifica con un’infantilizzazione dei costumi e del gusto, con una diminuzione di differenze tra maschio e femmina, mentre aumentano le possibilità economiche di usare aromi e spezie diverse, quasi inevitabile è una diminuzione dell’uso dell’aglio.
L’aglio è uno tra i principali marcatori aromatici della cucina mediterranea e della Dieta Mediterranea, quest’ultima in Italia in progressivo abbandono con i suoi aromi e ricette. Diverse e quasi celebri erano le ricette italiane dove l’aglio era protagonista, dalla Bagna Cauda, ai sughi e condimenti anche per le diverse paste come il Pesto Ligure e il Pesto Genovese. Oggi hanno successo nuove interpretazioni e “rivisitazioni” di ricette tradizionali, sempre più industriali e con un’enfasi più o meno velata del “senza”, dove l’aglio scompare o talvolta è sostituito da aromi più tenui e soprattutto più “femminili” come quelli del limone. Tutto questo avviene in una cucina che pur vantando antiche e tradizionali origini popolari vuole soddisfare una popolazione che rispetto al passato è divenuta più ricca e richiede di mangiare moderno sognando un immaginario antico.
Più complesse e soprattutto molto variegate sono le influenze della globalizzazione degli stili alimentari che anche l’Italia sta subendo. Nel mondo vi sono cucine che non amano l’aglio (agliofobe) ma altre che lo amano (agliofile). Tra queste ultime vi sono le cucine mediterranee greca, provenzale, occitanica, paesi balcanici e medio-orientali, egiziane, tunisine, magrebine e soprattutto spagnola. Altre cucine agliofile sono quella indiana, coreana, thailandese e soprattutto cinese. Il mangiare degli italiani, anche attraverso il turismo, subisce le influenze di alcune di queste cucine, ma non per quanto riguarda l’uso dell’aglio, forse perché nei cibi esotici si cercano nuovi sapori e non quelli nostrani abbandonati. Inoltre l’aglio non ha il fascino dell’esotico ma il carattere di un aroma povero, greve, troppo marcato, invasivo e rozzo ed è espressione di una “cucina antisociale”. Questo perché il forte aroma dell'aglio passa nel sudore e nell'alito di chi lo ha mangiato, in quanto i composti di zolfo dell’ortaggio sono metabolizzati e trasformati in disolfuro di allile trasportato ai polmoni e alla pelle, dove è escreto.
Futura scomparsa dell’aglio dalla cucina italiana? Anche in cucina niente è nuovo come l’antico e basta una nuova presentazione. Già ora l’aglio di particolari varietà, in misure saggiamente contenute e in mani esperte, non manca in alcune preparazioni di grandi cuochi, con lodi anche di stimati gastronomi.