Il “paesaggio” è una evoluzione linguistica cinquecentesca delle pitture di paese che raffiguravano un territorio per finalità estetiche. Il lemma rimase a lungo oggetto della pittura, anche se si diversificherà occupando gli spazi della soggettività (l’esempio più noto è nella ascensione di Petrarca al Mont Ventoux) o quelli oggettivi delle attività umane per cui la vista di un “paese è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura” (Leopardi).
A lungo considerato tra i beni di interesse artistico, sarà a partire dalla legge Croce del 1922 che verrà definito cosa diversa dal “panorama storico artistico”. Gli scritti di Salvatore Settis sono necessari a seguire un’evoluzione che lo avvia a essere espressione sistemica della realtà naturale, della sua evoluzione storica, della cultura che su di essa è intervenuta e ne è stata improntata. Altre leggi seguiranno: la Bottai del 1939, la Galasso nel 1985, il Codice dei beni culturali e del paesaggio nel 2004. Da una visione riduttivamente estetica si è divenuti attenti all’ecologia, all’economia, al territorio confermando in definitiva quanto era implicito nell’articolo 9 della Costituzione del 1948 che afferma “la Repubblica … tutela il paesaggio” e lo distingue da “il patrimonio storico e artistico”. In rapporto con essi diventa luogo fisico dell’interazione tra i caratteri della natura, la storia e la cultura dell’uomo che li ha modificati a proprio vantaggio per i bisogni alimentari o di materie prime, per la sicurezza, per i piaceri. Il paesaggio definisce non solo ambiti particolari ma i vasti e diffusi territori dell’agricoltura, unici in Italia per diversità biologica e fisica e per la molteplicità delle vicende storiche ed è oggetto della “Storia del Paesaggio Agrario Italiano” di Emilio Sereni. Nel primo capitolo è definito “forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale». Aggiorniamo la definizione: se “forma” sembra un giudizio estetico usiamo “struttura” a indicare il mosaico ecologico; al posto di “attività produttive” adoperiamo “servizi ecosistemici” con ciò rifacendoci alla multifunzionalità che adesso il Green Deal europeo invoca. Soffermiamoci quindi sull’attualità dei due avverbi che rimandano al carattere sistemico che si manifesta con l’effetto delle azioni umane sulla intera biosfera e la cognizione di operare all’interno di un sistema complesso che va oltre le parti che lo compongono. Sereni venne considerato scientificamente indisciplinato e la manifestazione della sua multiforme cultura, testimoniata dalla diversità delle fonti di cui si servì, fu intesa come sfoggio di erudizione mentre era invece dimostrazione di quel sapere multidisciplinare indispensabile per capire e spiegare un paesaggio nei tempi critici di un’agricoltura intensiva major driver dei cambiamenti climatici e dei sistemi tradizionali abbandonati, in un territorio fragile, a frane, incendi e consumo di suolo. La si ritrova ricorrendo allo stesso Sereni quando, nel 1966 al primo congresso di Italia Nostra, affermava che “l’elemento che può difendere il paesaggio artistico e naturale d’Italia è e sarà sempre l’uomo con la sua presenza organizzata, democratica, attiva; presenza in un paesaggio modellato nei secoli dalle generazioni passate, e che non deve essere distrutto, ma nemmeno staticamente conservato, ma piuttosto deve essere razionalmente curato e modernamente sviluppato per renderlo adatto ad una trasmissione positiva e feconda, alle nuove generazioni». Parole preziose che precedono la Convenzione Europea per il Paesaggio del 2000 quando affermerà che “svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività economica se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato”. Parole che spingono a immaginare, progettare e realizzare nuovi paesaggi per i quali serve confronto multidisciplinare, attività di ricerca e sperimentazione, coraggiose politiche. I paesaggi del futuro – che dovranno ospitare le energie rinnovabili, che occuperanno spazi urbani, che sfameranno l’umanità, che presidieranno le montagne e contrasteranno gli incendi, che si confronteranno con l’innalzamento delle temperature e del livello delle acque marine, che si presteranno allo svago e alla contemplazione – non nasceranno solo nelle stanze dei decisori politici, negli studi e nei laboratori degli agronomi, degli architetti, dei tecnologi o dei pianificatori.
Se si ritiene che a salvare il mondo non basterà la bellezza mentre può farlo il paesaggio, con la sua visione sistemica specchio di una civiltà che tiene insieme natura, storia e percezione, ci si domanda quanto sia stato opportuno modificare l’articolo 9 aggiungendo il comma “Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni … disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Un generale plauso ha accompagnato i primi giudizi, soddisfatti che temi importanti abbiano trovato così evidente spazio. Solo alcune voci hanno sollevato dubbi ritenendo che il termine “paesaggio” già esprimesse tutto ciò e anzi che le integrazioni ne depotenziassero, diluendolo nei suoi componenti, il senso sistemico.