L’accordo raggiunto nel recente trilogo europeo sul nuovo Regolamento dedicato alle New Genomic Techniques (NGTs), in Italia Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), rappresenta un passaggio storico per l’innovazione genetica in agricoltura e giunge al termine di un lungo percorso, spesso rallentato dalle esitazioni della politica, nonostante l’attesa di ricercatori e imprese agricole. Per la prima volta l’Unione Europea riconosce formalmente la necessità di distinguere le NGTs/TEA dagli OGM tradizionali, aprendo la strada a un quadro normativo più moderno e coerente con l’evoluzione delle conoscenze scientifiche. È importante ricordare, tuttavia, che l’accordo raggiunto nel trilogo dovrà ora essere approvato con voto formale sia dal Parlamento europeo sia dal Consiglio dell’Unione prima di diventare definitivamente operativo.
In questo processo, l’Italia ha esercitato un ruolo determinante, grazie alla capacità, consolidata negli ultimi anni, di promuovere un’interazione costante e costruttiva tra la comunità scientifica della genetica agraria, gli stakeholder del settore primario e i decisori politici. Tale triangolazione virtuosa ha permesso di superare approcci di natura ideologica, orientando le posizioni negoziali su evidenze scientifiche, scenari agronomici concreti e obiettivi chiari di sostenibilità. L’Italia ha così potuto partecipare al trilogo come un Paese in grado di avanzare proposte equilibrate, credibili e innovative, contribuendo in modo significativo alla definizione dell’intesa finale.
Tra gli elementi più significativi emersi in questa fase vi è il pieno riconoscimento del ruolo imprescindibile della ricerca di base. Senza una conoscenza approfondita dei genomi, dei geni che determinano i caratteri agronomicamente rilevanti e delle complesse interazioni che regolano la risposta delle piante agli stress biotici e abiotici, l’applicazione delle NGT/TEA non può esprimere appieno il proprio potenziale. L’identificazione del maggior numero possibile di geni, varianti alleliche e regioni genomiche alla base di tratti fondamentali, quali la resistenza ai patogeni, l’efficienza nell’uso dell’acqua e dei nutrienti, la qualità delle produzioni, costituisce una condizione essenziale per affrontare con efficacia le sfide climatiche, ambientali ed economiche dei prossimi decenni.
Sabato 29 novembre 2025 è andata in onda una puntata di “Indovina chi viene a cena” dedicata al tema “Partigiani contadini”. I firmatari hanno apprezzato l’attenzione verso le risorse genetiche locali, il ruolo delle banche del germoplasma e il principio di benefit sharing, strumenti fondamentali per la conservazione e la condivisione della biodiversità agricola.
Riteniamo però necessario intervenire su come la trasmissione ha rappresentato genetica e miglioramento genetico, contrapposti in modo semplicistico ai “partigiani contadini”, presentati come unica alternativa “pura” e virtuosa. Questa dicotomia rientra in un filone mediatico ormai consolidato: da un lato i “custodi della natura”, dall’altro le multinazionali, descritte come predatrici di biodiversità. Una narrazione ideologica che riduce la complessità del settore agricolo.
Molte affermazioni risultano fuorvianti. Si sostiene, ad esempio, che i semi delle ditte sementiere siano “manipolati, ibridi e sterili”, mentre quelli “contadini” sarebbero “autentici”. In realtà la sterilità interessa solo poche colture (banane, uva, cocomeri apireni); gli ibridi non sono sterili, semplicemente generano una discendenza eterogenea secondo le leggi di Mendel, non conveniente per chi li vuole coltivare. Si sono diffusi perché garantiscono vantaggi reali: produttività, uniformità, resistenza a malattie e stress, grazie al “vantaggio dell’ibrido”, vero per tutti gli esseri viventi.
Gli agricoltori acquistano semi nuovi non perché non abbiano alternative, ma perché il seme autoprodotto può perdere purezza genetica, contaminarsi o veicolare malattie. Le ditte sementiere garantiscono all’acquirente la purezza del seme, la sua qualità e la sua germinabilità: offrono quindi un servizio professionale, che ha naturalmente un costo.
Fuorviante anche la distinzione morale tra un miglioramento genetico “buono” (pubblico) e uno “cattivo” (privato). La selezione genetica si basa su principi scientifici condivisi: attribuire una valenza etica diversa agli stessi strumenti in base a chi li usa crea diffidenza ingiustificata e ingiustificabile.
Inaccurata anche la parte sulle banche del germoplasma: non regalano semi alle multinazionali, ma li distribuiscono gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta. Forniscono piccole quantità non per nascondere qualcosa, ma perché la loro funzione non è la produzione di grandi volumi, bensì la conservazione, lo studio e la diffusione del materiale genetico. Inoltre, i semi “antichi”, spesso presenti nelle banche del germoplasma, non sono automaticamente migliori: possono presentare caratteristiche positive insieme ad altre negative. Il miglioramento genetico serve proprio a combinare più tratti vantaggiosi in una stessa varietà coltivata.
Queste inesattezze sono probabilmente la conseguenza di una carente preparazione agronomica di base, indispensabile per comprendere come funzionano realmente le produzioni agricole, siano esse condotte da piccoli agricoltori o su larga scala.
Il molecular farming non è più solo una tecnologia di nicchia, ma una piattaforma matura e in rapida evoluzione che può avere un impatto rivoluzionario sulla salute globale, offrendo una soluzione a basso costo, sicura e scalabile per la produzione dalle piante di vaccini e altri farmaci essenziali.
La capacità delle piante di affrontare condizioni di stress idrico dipende non solo dalle loro caratteristiche fisiologiche, ma anche dalle interazioni complesse con i microrganismi presenti nel suolo e nelle radici, veri e propri “alleati invisibili” che aiutano le piante a resistere quando l’acqua scarseggia.