Ferrucci: Quando è nata la passione per il vino?
Nannini: Nella casa paterna in quel della Maolina sulle colline di Lucca, una zona declamata per la bontà del suo vino, c’era un piccolo vigneto di circa 3000 mq. Nelle migliori annate si riusciva a tirarne fuori circa 25 damigiane ma mio padre si stancò di spendere soldi e tempo per ottenerne così poco frutto; senza mentire diceva che gli sarebbe costato meno comprarlo il vino e di ottimo piuttosto che farlo. Decise di estirpare allora quell’ antico vigneto ricco di uve le più diverse e sconosciute per sostituirlo con un meno impegnativo oliveto.
Io non avevo alcuna passione per il vino ma l’idea che per un mero calcolo economico si perdesse un prezioso, antico scrigno pieno di testimonianze vive (le viti) di una storia antica e famosa e un pezzetto di paesaggio cambiasse mi riempì di malinconia e di rabbia. Decisi allora che me ne sarei occupato personalmente e che per prima cosa una parte di vigna, la più antica e stentata, che i vecchi contadini che venivano a lavorare mi suggerivano di tirar giù e rifar nuova, scommisi l’avrei salvata. La curai con vangature al calcio e concimazione con pattume di stalla e il vigneto rifiorì. Tutto è nato da lì e oggi di quell’ eco il mio lavoro ancora risuona.
Ecco: l’abbandono della campagna, il vederla trascurata, offesa, malata mi suscita disagio, risentimento e più spesso ormai anche sdegnato sgomento.
Un articolo estremamente stimolante, intitolato “The risk of the ‘producing more with less’ narrative” e firmato da Pasquale De Vita (CREA Cerealicoltura e Colture Industriali) e Bruno Basso (Michigan State University), è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature Food (sezione Correspondence).
Credo valga la pena leggerlo perché invita a riflettere su come comunichiamo la scienza, in particolare nell’ambito delle scienze agrarie, e su quanto gli slogan, per quanto accattivanti, possano semplificare problemi complessi, influenzando percezioni e decisioni politiche.
Potete leggerlo qui: https://doi.org/10.1038/s43016-025-01182-3.
Nel loro contributo, gli autori analizzano in modo critico una delle espressioni più ricorrenti nel dibattito agricolo e politico contemporaneo: l’idea che sia possibile soddisfare la crescente domanda globale di cibo semplicemente “producendo di più con meno”.
De Vita e Basso mettono in luce come questa costruzione narrativa, per quanto intuitiva e attraente, trascuri le complesse dinamiche biologiche e agronomiche che regolano i sistemi produttivi. Migliorare caratteri come la tolleranza agli stress abiotici (es. siccità, salinità) o l’efficienza nell’uso dei nutrienti comporta spesso inevitabili compromessi fisiologici: ad esempio, varietà selezionate per resistere a condizioni difficili possono ridurre la produttività o la qualità in ambienti favorevoli, a causa di costi metabolici e allocazione diversa delle risorse all’interno della pianta.
Gli autori osservano anche come questo paradigma sia diventato un potente strumento politico, capace di generare aspettative irrealistiche sulle potenzialità della sola innovazione tecnologica, senza tenere conto della complessità ecologica, sociale e sistemica dei contesti agricoli reali.
Questa semplificazione ha ricadute anche sul mondo della ricerca, sempre più orientata verso risultati immediatamente applicabili e finanziabili. Ne deriva una tendenza a privilegiare approcci rapidi e soluzioni commerciali, spesso a scapito della ricerca fondamentale, che richiede tempi più lunghi ma è essenziale per affrontare le sfide strutturali del settore agroalimentare.
C’è un luogo in Italia dove la terra smette di essere semplicemente “terra” e si trasforma in un universo affascinante, complesso, sorprendente. Un luogo nato dal desiderio profondo di raccontare il suolo in tutta la sua ricchezza, per educare, meravigliare, e – soprattutto – far riflettere. Questo luogo è il Museo del Suolo di Pertosa, immerso nel paesaggio suggestivo del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Ma chiamarlo “museo” è quasi riduttivo. È piuttosto un'esperienza, un viaggio sensoriale e conoscitivo nel mondo nascosto che sostiene la vita sulla Terra.
Perché beviamo latte, non come gli altri mammiferi che lo fanno soltanto nella prima fase di vita, ma noi adulti e non di tutte le popolazioni? Quali sono i vantaggi di questo alimento e soprattutto perché dovremmo abbandonarlo, come sembra volere la crescente adozione di bevande vegetali come sostituti del latte vaccino, spesso incoraggiata per motivi ambientali e salutistici?