Dialoghi su alimentazione e salute: "Longevità, la dieta mediterranea come strategia vincente"

Dialogo con il Prof. Francesco Sofi - Professore di Scienze dell’Alimentazione dell’Università degli Studi di Firenze

Francesco Cipriani e Francesco Sofi 17 December 2025

Cipriani - Caro Francesco, come sai, fin dal secolo scorso la durata della vita è in continuo aumento ovunque, sostenuta da miglioramenti degli ambienti di vita e da innovazioni sanitarie, tanto che in Italia oggi una donna si aspetta di vivere mediamente almeno 85 anni ed un uomo 82. Il limite biologico della specie umana sembra di circa 120 anni. Tutte buone notizie. Ma gli anni della vecchiaia sono anche quelli con più malattie e disabilità e al tempo stesso nei Paesi più sviluppati nascono sempre meno bambini, con il risultato di una “tempesta perfetta” per la sostenibilità di una società che invecchia rapidamente. L’ideale sarebbe poter vivere tutta la vita che ci è dato vivere in pieno benessere. È possibile? In gran parte sì. Dopo quasi un secolo di ricerche in laboratorio su cellule e animali e di quelle epidemiologiche sull’uomo sappiamo che la maggioranza degli anni di vita che possiamo guadagnare in buona salute dipendono dalle nostre scelte: dieta, attività fisica, fumo, alcol, sonno, sesso, lavoro, attività ricreative. In particolare, secondo recenti dati dell’iniziativa scientifica Global Burden of Disease (GBD) (https://www.healthdata.org/research-analysis/gbd), una corretta alimentazione è il fattore più importante per vivere a lungo e in salute. Ma cosa significa “alimentazione corretta”? Si sente parlare soprattutto di dieta Mediterranea di cui tu sei un esperto e vorrei che ci aiutassi a far chiarezza intorno a questo modello alimentare 

Sofi - La DM è nata dopo la Seconda guerra mondiale, con i primi dati degli studi del prof. Ancel Keys, ma non esiste una sua vera e propria definizione, essendo semplicemente il profilo alimentare caratteristico dei paesi circondati dal Mar Mediterraneo. Pur con le differenze tra paesi, il profilo alimentare mediterraneo è caratterizzato da un consumo di alimenti su base vegetale (cereali, verdura, frutta e legumi), con moderata introduzione di alimenti su base animale e con l’olio di oliva come principale fonte di grassi. È importante sottolineare che la DM non è una dieta come si intende oggi con questo termine, cioè un modo che ci faccia perdere peso a tavola, ma è un vero e proprio stile di vita, che comprende anche altri aspetti non strettamente nutrizionali come la convivialità, i ritmi quotidiani di vita, la freschezza e stagionalità dei prodotti, etc.
Dal punto di vista scientifico è il profilo alimentare migliore per la prevenzione e la terapia di quasi tutte le malattie. I dati in letteratura ci dicono in maniera incontrovertibile che aderire al profilo alimentare mediterraneo, misurato con specifici indici di consumo giornaliero/settimanale di alimenti e gruppi alimentari, riduce di circa il 10% la mortalità generale e l’insorgenza e la mortalità delle più importanti malattie cronico-degenerative quali tumori, diabete, malattie cardiovascolari, malattie del sistema nervoso, etc. La DM è sicura e tollerabile in tutte le fasce di età e in tutte le condizioni fisiologiche (gravidanza, attività sportiva ed agonistica, ecc..).

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La cucina italiana patrimonio Unesco: soltanto marketing?

Nello Biscotti 17 December 2025

Si vogliono leggere in questo riconoscimento “Identità e Tradizione”, entrambe parole grosse dalle quali è opportuno partire. Pretendere di definire l’identità e imporla a ogni costo è un esercizio demagogico, perché essa – come ricorda l’antropologo Michael Herzfeld – è per sua natura multipla, mutevole e continuamente negoziata. Le retoriche identitarie, spesso strumentalizzate e apparentemente rassicuranti, possono essere profondamente pericolose, come sottolineano gli storici; per questo è necessario distinguerle, decostruirle e contrastare gli abusi conoscitivi che generano.
Usare poi l’identità come chiave di lettura della cucina è del tutto inappropriato: la cucina italiana, nei fatti, è plurale, mai fissa e in continuo divenire. Demagogia e retorica anche nella parola tradizione, spesso utilizzata per rafforzare un’idea di identità, ma che oggi finiamo per rispolverare più che trasmettere davvero. Nei fatti non tramandiamo più nulla, perché non c’è più niente da trasmettere: ciò che oggi chiamiamo tradizione è costruito su rievocazioni, nostalgie e memorie di un tempo che non c’è più da tempo e, per fortuna.
Già dagli anni Cinquanta del Novecento la gastronomia italiana si è fondata in larga misura su cibi industriali, attraverso i quali abbiamo soppiantato in breve tempo ogni consuetudine precedente, poiché ci ricordavano fame e miseria. Questa era la tradizione; infatti l’Unesco non la riconosce né la celebra. Ma quale tradizione, poi? Di quotidiane zuppe e minestre di verdure di ogni tipo? Quella degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, quando persino nei paesi più sperduti i negozi di generi alimentari (le drogherie) traboccavano di paste secche industriali, mortadelle, provoloni, galbanini e, come tocco finale, le immancabili scatolette di carne Simmenthal? E le scatolette di tonno o i barattoli di pomodoro e salse, con cui abbiamo mangiato la stessa pasta? Con drogherie e centri commerciali, abbiamo detto addio a quelle piccole tipicità locali che ora rimpiangiamo; abbiamo detto addio anche alla vera “cucina italiana”, che si esprimeva in un mosaico ricchissimo di tradizioni locali, oggi profondamente influenzato da tendenze tedesche, inglesi e americane.

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Al fine di rispondere in maniera convinta e appropriata ai più recenti dettami dell’UE in materia di agricoltura rigenerativa, in primis gli studenti frequentanti vari corsi universitari, seguiti da agronomi, periti agrari, forestali oltre che dagli agricoltori più evoluti, dovrebbero accedere con curiosità ai contenuti di questa nuova proposta libraria.

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