Oltre l’agnello pasquale

di Dario Casati
  • 19 April 2017
Nella settimana che ha preceduto la Pasqua le prime pagine dei giornali e le televisioni si sono a lungo ed ampiamente interessate degli agnelli. Grandi personaggi con un sicuro fiuto per la comunicazione sono stati effigiati con agnellini e pecore di forte effetto emotivo. È stata affrontata una grande varietà di temi confondendo fede e gastronomia, civiltà e tradizioni, ma anche l’iniziativa concreta di Coldiretti “SalvaUnPastore” con quella legislativa che vuole impedire la macellazione di numerose specie, fra cui, appunto, gli ovini.
Indietro nel tempo, dopo il cane, i primi animali addomesticati furono circa 8500 anni fa pecore e capre nell’area della mezza luna fertile. Nasce così l’antica consuetudine di queste specie con l’uomo che le ha impiegate nello sviluppo dell’agricoltura e per il contributo dato all’alimentazione. A quel tempo risale la loro rilevanza nelle religioni nate in quell’area come quella ebraica e poi quella cristiana, in cui scompaiono i sacrifici di animali e si forma l’evidenza simbolica. Le nascite primaverili sono collegate al rito celebrativo della Resurrezione. Si rafforza il simbolo dell’Agnus Dei, l’agnello innocente. 
Oggi la battaglia contro il consumo di carni ha scelto la sua fine brutale come indice di grande efficacia. Personalmente non accettiamo la morte dell’abbacchio, inutilmente cruenta, ma allo stesso tempo siamo convinti sostenitori della necessità per l’organismo umano di completare la sua nutrizione con gli alimenti di origine animale. La loro pericolosità viene associata dalla scienza all’eccesso quantitativo ed alle modalità di preparazione delle carni, non al consumo in sé. 
L’azione di chi utilizza in maniera forzata l’immagine dell’agnello induce a molte riflessioni, su almeno due delle quali vorremmo fermarci. La prima riguarda la modalità con cui essa viene condotta che è paradossalmente violenta sia per le frange più oltranziste, spesso fortemente ideologizzate in senso anti società, sia in quelle più moderate ed istituzionali che vogliono l’affermazione della loro posizione con leggi che renderebbero obbligatori comportamenti individuali che sono invece liberi per loro natura. Un’imposizione inaccettabile in una società come la nostra, costruita sui diritti e le libertà fondamentali dell’umanità. La battaglia per la diffusione dell’alimentazione veg è lecita, come lo è il consumo di carni, ma in un contesto non coercitivo. Per non parlare del fatto che gli improvvisati salvatori degli agnelli sembrano ignorare una verità che ci è stata sottolineata da un pastore: senza agnelli la pecora non produce nemmeno latte e quindi non si fanno formaggi, ma soprattutto non si prolunga la catena madri-figli, con tanti saluti alla salvaguardia della specie.
Il secondo aspetto riguarda l’attacco ad un’attività economica antica ed importante come l’allevamento ovino (e caprino) per assecondare una posizione ideologica che potrebbe essere sostenuta in modi meno drastici e dannosi per altri esseri umani come consumatori, agricoltori, allevatori, trasformatori di cibi derivati dagli ovicaprini. In Italia vengono allevati 6,2 milioni di capi ovini e 750.000 caprini. Le carni prodotte sono circa 60.000 tonnellate e collocano il nostro paese al settimo posto in Europa, con un valore nel 2015 di 170 milioni di euro. Nonostante il modesto consumo, pari a 1,2 kg pro capite, il nostro paese deve importare circa un terzo del fabbisogno interno ed è al terzo posto fra i paesi europei come importatore. La produzione di latte è di 5,2 milioni di ettolitri per un valore di 570 milioni di euro ed alimenta un flusso di esportazioni che solo per il Pecorino romano ammonta a 162 milioni di euro a fronte di importazioni di formaggi pecorini pari in quantità a meno della metà.  Il Pecorino Romano, per quantità prodotta e per valore, è al quinto posto fra i formaggi a denominazione protetta e al terzo per quelli esportati, dopo i due giganti Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Dunque un settore con grandi spazi, specie per territori fragili ed economicamente in difficoltà come ora dopo il terremoto in Abruzzo. 
Non siamo certi che la questione possa essere imposta da una parte minoritaria, ma fortemente aggressiva. Ci chiediamo se questa battaglia, condotta con mezzi tanto rilevanti, abbia un senso logico ed economico e, se così fosse, quale sia. Se gli aspetti criticabili non possano essere affrontati con maggiore civiltà e senza imposizioni. I nostri agnelli, comunque li si considerino, meritano di meglio, come gli allevatori che li curano e il territorio che con essi vive da millenni.