Lettera aperta a Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia e a Sergio Bolzonello, assessore alle attività produttive

di Marco Pasti
  • 29 January 2014
In questi giorni sono in discussione presso gli uffici della Regione Friuli Venezia Giulia le regole per la coesistenza tra colture geneticamente modificate, convenzionali e biologiche. L’obiettivo politico dichiarato dall’Amministrazione regionale è quello di impedire la coltivazione di mais geneticamente modificato per resistere alla piralide, poiché il no agli OGM è la strada ritenuta vincente nell’attuale contesto politico. Tuttavia questa strada non è senza costi per i cittadini e le imprese che vivono e operano in Friuli. Infatti il mais, con oltre 90.000 ettari coltivati, è la principale coltivazione della regione e la piralide è un insetto in grado di causare gravi danni sia quantitativi sia qualitativi a questa coltivazione. La perdita di produzione, molto variabile di anno in anno, può essere stimata in oltre 80.000 tonnellate per un valore di 16 milioni di euro. Le varietà geneticamente modificate per resistere alla piralide sono il mezzo più efficiente per il suo controllo e sono state ritenute sicure per l’uomo e l’ambiente dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e dalle più credibili istituzioni internazionali.
A questo va aggiunto il problema della contaminazione di alcune micotossine, sostanze tossiche prodotte da muffe, che si sviluppano prevalentemente sulle parti di spiga attaccate dalla piralide. Tra le micotossine le fumonisine sono strettamente connesse al danno causato dalla piralide e sono state classificate come possibili cancerogene per l’uomo dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) anche in base a studi epidemiologici svolti in Friuli sul cancro alla cavità orale, alla faringe e all’esofago. Le fumonisine sono tossiche anche per gli animali tanto che spesso l’industria mangimistica preferisce comprare mais estero, a prezzo superiore, perché meno contaminato da fumonisine. Complessivamente a livello nazionale si può affermare che il danno derivante da intossicazioni croniche da fumonisine agli allevamenti zootecnici sia dello stesso ordine di grandezza del danno subito dai produttori di mais. La piralide aumenta anche il rischio di contaminazione da aflatossine che sono più rare ma molto più tossiche delle fumonisine (sono classificate come sicuramente cancerogene dallo IARC), ed hanno la caratteristica di passare nel latte e quindi nei formaggi.
Da un punto di vista ambientale andrebbe considerato che il mais resistente alla piralide non solo riduce la distribuzione nell’ambiente di insetticidi non selettivi, ma richiede meno acqua, energia, concimi e agrofarmaci per essere prodotto, dal momento che a parità di input si ottiene il 10 percento in più di produzione. Per ottenere lo stesso quantitativo di mais prodotto oggi in Friuli si potrebbero risparmiare 50 milioni di metri cubi d’acqua, 9.000 TEP di energia, 45.000 kg di agrofarmaci e 8.000 tonnellate di concimi o, a parità di superfici investite, assorbire 260.000 tonnellate di CO2 in più dall’atmosfera.
Quindi, da norme che permettano la coesistenza possono derivare tangibili vantaggi per gli agricoltori (oltre 30 milioni di Euro), per i consumatori (minor rischio di contaminazione di micotossine possibili o sicure cancerogene) e per l’ambiente (minori consumi di energia, concimi e agrofarmaci per unità di prodotto). Non va infine dimenticato che buona parte dei rinomati formaggi e prosciutti friulani non potrebbero essere prodotti senza la soia geneticamente modificata che quotidianamente entra in Regione. Buone norme di coesistenza permettono ai produttori di scegliere cosa produrre e ai consumatori cosa consumare.