Leggendo da internet il “Contratto” dell’attuale nuovo Governo si può
rilevare che il “suolo” è menzionato al punto 4 “Ambiente, green economy
e rifiuti zero”. Si legge, fra l’altro, che questo viene considerato
una “risorsa rinnovabile” come l’acqua e le foreste.
Da sempre gli
studiosi di scienza del suolo sostengono che il suolo stesso è una
risorsa non rinnovabile proprio perché la sua formazione è un processo
talmente complesso che richiede da centinaia a migliaia di anni. È
ampiamente documentato dalla letteratura internazionale che molti suoli
si sono formati alla velocità di un millimetro l’anno. Al contrario la
velocità della sua degradazione e` estremamente più rapida, basti
pensare, ad esempio, agli eventi catastrofici degli ultimi anni,
verificatesi in seguito all’abbattersi di violenti nubifragi (bombe
d’acqua); le conseguenti colate di fango sono dovute proprio
all’asportazione degli orizzonti superficiali del suolo stesso. Inoltre,
i due terzi del territorio nazionale sono ormai degradati a causa di
una gestione del suolo non sempre sostenibile e ad attività antropiche
non sempre corrette. La quasi totalità dei dissesti e dei fenomeni di
forte degradazione sono imputabili proprio alle attività antropiche.
Tutto questo fa si che il suolo sia una risorsa non rinnovabile e come
tale va considerato nel programmare e mettere in atto interventi per la
sua conservazione.
Questo concetto è ampiamente condiviso anche da
importanti istituzioni come, ad esempio, l’Unione Europea che, a questo
proposito, ha formulato la seguente definizione: “Il suolo e` una
risorsa essenzialmente non rinnovabile e un sistema molto dinamico, che
svolge numerose funzioni e fornisce servizi fondamentali per le attività
umane e la sopravvivenza degli ecosistemi”. Anche la FAO da tempo
afferma che “il suolo è una risorsa non rinnovabile”.
Oggi conosciamo
molto del suolo e disponiamo di un buon numero di banche dati, basti
vedere le miriadi di pubblicazioni scientifiche, a livello nazionale e
internazionale, su questo argomento ma, a dispetto di ciò, la percezione
dell’importanza e della fragilità di questa risorsa fra i non addetti
ai lavori rimane assai bassa, nonostante un apparente aumento della
sensibilità dell’opinione pubblica verso le criticità ambientali. E
questo non è un problema solo italiano visto che nella Nuova edizione
dell'Atlante mondiale della desertificazione, pubblicato dal Centro
ricerche della Commissione Europea (UE), si afferma che “oltre il 75%
delle terre emerse sono già degradate e potrebbero esserlo oltre il 90%
entro il 2050”. Quindi, la degradazione del suolo rappresenta
attualmente una delle emergenze a livello planetario.
Un’efficace
protezione dell’ambiente e delle risorse naturali si attua solo
attraverso una corretta gestione del territorio. Per questo è
assolutamente necessario educare l’opinione pubblica alle problematiche
della conservazione del suolo e, per quanto riguarda l’agricoltura,
persuadere gli agricoltori ad adottare quelle pratiche agricole idonee a
prevenirne la degradazione. Il compito dei ricercatori è di dare un
contributo in questo senso attraverso la discussione e la divulgazione
delle loro esperienze. Queste esperienze possono fornire utili
contributi non solo per lo sviluppo dei nuovi Regolamenti della Politica
Agricola Comunitaria (PAC) ma anche per l’elaborazione di normative
atte a tutelare le risorse naturali come il suolo, appunto. Il nostro
futuro e, soprattutto, la qualità della vita delle nuove generazioni
dipende proprio dalla salvaguardia di queste risorse e la loro
protezione deve essere un impegno di tutti.