Per ridurre il rischio connesso alla presenza di alberature la parola è una sola: rinnovamento

A Firenze crolla un tiglio su un pullman di turisti e si riaccende il dibattito sulla presenza di grandi alberi in città. Riportiamo un commento del Prof. Francesco Ferrini, accademico georgofilo, ordinario di Arboricoltura e Preside della Facoltà di Agraria di Firenze, il quale è da anni in prima linea sulla questione.

di Francesco Ferrini
  • 23 May 2018
I benefici forniti dagli alberi sono noti ed essi sono largamente superiori ai rischi connessi alla loro presenza. Quest’ultima, tuttavia, è imprescindibile dal mantenimento (o, se possibile, dal miglioramento) di condizioni minime di vivibilità dei nostri ambienti urbani per fare in modo che i suddetti rischi siano quanto minori possibile.
Dobbiamo essere consci che il patrimonio arboreo delle nostre città, caratterizzato da piante messe a dimora in epoche passate (alcuni impianti risalgono addirittura al 1800, la maggior parte all’epoca fascista o post-bellica) pone un problema gestionale inderogabile.
Le nostre amministrazioni sono prese tra più fuochi: 1) la necessità di minimizzare il rischio e garantire la sicurezza della fruizione; 2) la congiuntura economica sfavorevole che ha determinato tagli non più compatibili con una gestione minima del patrimonio arboreo; 3) la pressione dei cittadini che, sulla base di non si sa bene quali conoscenze, pretendono che gli alberi siano gestiti come “vogliono loro” e non come dovrebbero; 4) la pressione di un estremismo ambientalista, spesso miope e non disponibile al dialogo, che in alcune sue componenti ha preso una strada senza uscita, che non aiuta a migliorare l’ambiente, ma rappresenta ormai un problema aggiuntivo; 5) la necessità di programmare la scelta del materiale vegetale non su “la città come è”, ma sulla “città come sarà”.
Purtroppo, si è molto litigato e poco dialogato perché si è creato un solco incolmabile fra coloro che con gli alberi ci lavorano e li conoscono e coloro che invece si ostinano a non voler ascoltare il parere dei primi.
Eppure dovrebbe essere ben chiara la differenza fra albero senescente e albero monumentale che, invece, sfugge a molti, ma è essenziale nella definizione delle strategie d’intervento. Si deve abbattere e rinnovare un albero giunto nella fase di senescenza, si deve far tutto per preservare un albero monumentale e di interesse storico e paesaggistico.
Si può suggerire una soluzione gestionale che preveda un rinnovo graduale di alberature senescenti, garantendo la continuità visiva del viale alberato nel corso del tempo. Iniziare a sostituire oggi gli alberi in condizioni più critiche, proseguendo in modo progressivo, permetterà di garantire al tempo stesso condizioni di maggiore sicurezza assieme alla presenza stabile di un viale alberato. È, perciò, ragionevole provvedere alla sostituzione in un arco di tempo non superiore a 15-20 anni di quegli alberi che evidenziano, a un’analisi visiva e strumentale, problematiche rilevanti, in modo da rimpiazzare annualmente dal 3 al 5% degli alberi considerati. Questo dovrebbe essere programmato in accordo con i vivaisti in modo che essi possano pianificare la produzione e fornire piante già pronte e di dimensioni progressivamente maggiori in modo da garantire una certa uniformità dimensionale degli alberi che saranno messi a dimora.
Sono convinto che anche l’indotto economico e occupazionale per il settore del verde urbano e ornamentale non sarebbe secondario.