Il futuro della PAC

di Dario Casati
  • 17 January 2018
Con la Comunicazione “Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura”, COM (2017) 713 del 29 novembre scorso la Commissione dell’Ue ha aperto il dibattito sul futuro della Pac post 2020. Dopo la definizione, nel primo semestre 2018, del Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp), verranno le proposte di testi normativi nel secondo semestre e nel 2019 l’approvazione, al termine del dibattito fra gli Organismi europei, gli Stati membri e il mondo agricolo. I tempi sono stretti e non è esclusa una piccola proroga, anche perché i mesi che ci attendono saranno difficili. La definizione del Qfp, dovrà tenere conto delle conseguenze della Brexit, con l’uscita della Gran Bretagna che porterà minori entrate, sia pure compensate da uscite ridotte. Nel primo semestre 2018 vi saranno le elezioni italiane e, per prassi, le decisioni importanti vengono rinviate a votazioni concluse. Nel 2019, poi, quelle del Parlamento europeo e la nomina della nuova Commissione.
Con l’approvazione del regolamento Omnibus che introduce alcune importanti novità la Commissione ha anticipato la strategia che sembra già in linea con esso. La Comunicazione è un documento interessante, conciso, fondato su un’analisi complessiva largamente condivisibile. Presenta evidenti segnali di una nuova svolta nel cammino della riforma Pac di cui delinea il sesto periodo. Ma bisognerà attendere i regolamenti comunitari e l’applicazione che Ue e Stati membri, per le parti di rispettiva competenza, vorranno darne.
È articolata su sei linee strategiche ed un ulteriore capitolo innovativo che affronta, finalmente, i problemi del ruolo della politica estera europea nei confronti dell’agricoltura. Nei prossimi mesi potremo meglio approfondire le diverse questioni, ma ci sembra che almeno tre emergano: a) Un approccio più aperto  verso la scienza e il trasferimento dei suoi risultati in agricoltura, b) La definizione di una politica agricola estera, c) La maggiore responsabilizzazione degli Stati.
Questo aspetto è stato subito oggetto di molte riserve, specie in Italia, per quello che viene definito il “rischio della rinazionalizzione della Pac”. Sembra di cogliere gli echi di un’antica questione che nei mesi preelettorali certamente riemergerà. Il timore nasce dai numerosi passaggi della Comunicazione in cui si indica una maggiore responsabilità degli Stati membri nell’esecuzione concreta delle indicazioni della Pac elaborata dagli Organismi comunitari e che resterebbe comunque sotto il controllo comune. Insomma, una sorta di libertà vigilata. Per la Pac la rinazionalizzazione è impossibile istituzionalmente per il contenuto dei Trattati, politicamente per la sua importanza sia economica sia di simbolo e motore dell’integrazione, praticamente perché implicherebbe un negoziato e decisioni di dimensioni pari alla Brexit.
Accompagnandosi all’inevitabile riduzione dei fondi per l’agricoltura nel Qfp ed alla possibilità che gli Stati possano cofinanziare alcuni aspetti della Pac, si teme che ciò penalizzi la nostra agricoltura. Gravano su questo timore la proverbiale inefficienza, ai limiti dell’incapacità, dell’Italia nel pensare e gestire una politica agraria autonoma e svincolata dagli equilibri nostrani e la cronica mancanza di fondi dovuta alle esigenze del colossale debito pubblico in crescita, nonostante la congiuntura favorevole alla sua riduzione. Entrambi i timori non sono nuovi e verranno esaltati dal clima elettorale, si veda la legge di bilancio. Per questi motivi si preferisce che sia Bruxelles a decidere e ad accollarsi ogni responsabilità. Fu così per l’euro e, nonostante gli immancabili richiami di facciata al recupero della sovranità, lo sarebbe anche per una Pac meno centralizzata.
Vedremo come si svilupperà la questione. Per ora è necessario riflettere sul fatto che se l’Italia davvero, e non solo a parole, crede nella sua agricoltura dovrebbe battersi a favore e non opporsi a questa opportunità, trovando le risorse finanziarie indispensabili ora disperse in mille rivoli improduttivi.