Una diagnosi dell’attuale problema alimentare mondiale

di Alessandro Bozzini
  • 20 September 2017
La elevata carenza di alimenti di base, verificatasi durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, ha allora causato, specialmente nelle popolazioni dei molti Paesi coinvolti nel conflitto, una diffusa coscienza riguardo la necessità di promuovere lo sviluppo dell’agricoltura, in quanto principale sorgente del cibo necessario per la ripresa dello sviluppo e del benessere sociali.
A partire dall’inizio degli anni ’50 fino alla metà degli anni ’80, dapprima nei Paesi Sviluppati (PS) e successivamente, con la “Rivoluzione Verde”, anche in molti Paesi Emergenti (PE), l’utilizzazione della ricerca scientifica e l’applicazione dei suoi risultati, specialmente nei settori biologico, chimico ed energetico, con lo sviluppo del miglioramento genetico, della meccanica agraria e con la realizzazione di nuovi fertilizzanti e pesticidi, ha permesso uno spettacolare aumento della disponibilità mondiale degli alimenti di base ed anche una conseguente diminuzione dei prezzi dei cibi prodotti. 
L’incremento delle produttività permise allora di coprire i bisogni alimentari di una popolazione mondiale che, dai 3 miliardi di umani presenti nel pianeta nel 1959 era arrivata ai 5 miliardi del 1987, periodo in cui anche la vita media umana attesa si era nel contempo notevolmente accresciuta per i progressi della medicina e della farmacologia. Il progresso tecnologico e quindi anche la produttività, interessarono dapprima i PS europei e nordamericani, per estendersi, successivamente nei PE, specie in Sudamerica ed in Asia, con la cosiddetta “Rivoluzione Verde”.
Il successo della ricerca tecnologica riguardo l’incremento della produttività del settore primario (arrivata a medie di 3%, 4% l’anno in vari Paesi), perseguita con notevoli investimenti finanziari per oltre un quarantennio, ha successivamente determinato un forte decremento di investimenti in tale settore (con aumenti medi di solo 1%, 1,5% l’anno). Successivamente i fondi, prima impiegati in agricoltura, in quasi tutti i Paesi, furono destinati ad altri settori (sanità, comunicazioni, industrializzazione, trasporti ecc.). 
Nel frattempo la crescita della popolazione umana era aumentata di continuo, per arrivare, in solo 24 anni (dal 1987 al 2011) ad un ulteriore incremento di 2 miliardi, quasi tutti nati nei Paesi emergenti (una media di quasi 84 milioni di viventi in più ogni anno, pari a 24 volte gli attuali abitanti della Germania).  Oggi, inoltre, in molti Paesi sviluppati, la media della attesa di vita è già arrivata ad 80 anni, con la previsione che, tra meno di vent’anni, nel 2050, ci saranno nel mondo solo 3 persone in età lavorativa per ogni pensionato (sopra i 65 anni), rispetto ai 12 presenti nel 1950 per ogni pensionato di allora. 
Quindi, non solo nel 2050 molto probabilmente ci saranno oltre 9 miliardi di umani da sfamare, ma dovrà essere molto aumentata in proporzione anche la produttività lavorativa media degli agricoltori. Da uno studio dell’Università di Giessen, in Germania, risulta che, nel 1850, quattro produttori agricoli producevano cibo per loro stessi e per solo un altro non agricoltore; già oggi, nei PS, un agricoltore produce alimenti di base per circa un centinaio di non agricoltori! Ormai, nei settori tecnici competenti, il problema è già ben noto, mentre popolazioni e mass-media non sono ancora consci del futuro che li attende.
La storia ci insegna che la fame ed il costo degli alimenti sono sempre stati causa di rivolgimenti politici e sociali epocali.  Del resto le prime avvisaglie si sono già verificate in Paesi non autosufficienti per gli alimenti in Nord Africa e Medio Oriente.
Considerando che solo una quindicina di Paesi sono oggi importanti produttori ed esportatori di derrate alimentari di base e che il numero dei Paesi autosufficienti è molto limitato, le prospettive per molti Paesi non autosufficienti, sia sviluppati che emergenti, non sono certo rosee.   
Non si tratta di allarmismo, ma di realtà già oggi presenti.