Cinghiali e peste suina africana alle porte

di Giovanni Ballarini
  • 03 May 2017
Molte città situate lungo la via Emilia, nella loro parte orientale hanno una località denominata San Lazzaro: è il lontano ricordo del lazzaretto e posto di controllo sanitario per i pellegrini che venivano dall’Oriente, perché da quelle regioni arrivavano le pesti umane e del bestiame. Una paura che sembra essere rimasta fino ai giorni nostri, come dimostrano i timori per le influenze umane e aviarie e, nel 2002 e 2003 la SARS, malattie sorte in lontani paesi orientali e di cui si è temuto l’arrivo in Italia. Oggi una grave peste degli animali è alle porte e minaccia all’Italia, particolarmente esposta all’infezione per la presenza nel suo territorio di una densa popolazione di cinghiali. É la Peste Suina Africana o PSA, causata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus (da ASF, sigla della denominazione della malattia in inglese: African Swine Fever) in continua diffusione nei paesi dell’Europa Orientale.
La PSA, conosciuta fin dal 1921 nel Kenia, negli anni sessanta del secolo scorso si diffonde in molti paesi del mondo, con il passaggio dai suini selvatici in quelli domestici. In Europa arriva in Spagna e Portogallo e la sua permanenza è facilitata dalla presenza di cinghiali e di una zecca dello stesso genere presente in Africa, Ornitodoros, che contribuisce a mantenere e trasmettere l’infezione. Il virus poi si diffonde in vari paesi d'Europa e anche a Cuba, Brasile, Repubblica Dominicana e Haiti. In Italia la malattia giunge nel 1967 introdotta non dagli scarti alimentari degli aerei nell’aeroporto di Roma, secondo una prima ipotesi poi divenuta la spiegazione ufficiale, ma dall’uso nei maiali di un medicinale infetto importato clandestinamente dalla Spagna. La malattia sull’Italia continentale è stata eliminata, ma tuttora perdura in alcune parti della Sardegna, dove l’endemicità è facilitata da diversi fattori.
In Europa, la Peste Suina Africana ha di recente assunto un nuovo e preoccupante volto con la sua diffusione nei cinghiali e nei maiali dei paesi orientali. Nel 2007 l’infezione compare nel Caucaso per poi estendersi in Armenia, Azerbaiyan e in Russia da qui avanzando quasi inesorabilmente, nel 2011 arriva in zone sempre più vicine all’Unione Europea nella quale penetra in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, con episodi che riguardano prima e sopratutto i cinghiali e poi i suini domestici. La malattia sta ora avanzando verso il centro-sud europeo colpendo l’Ucraina, la Moldavia, avvicinandosi alla Slovacchia, Ungheria, Romania ecc. I sempre più stretti rapporti tra questi ultimi paesi e l’Italia accrescono i rischi di un arrivo in Italia della infezione, considerando anche il “rischio cinghiali” di cui l’Italia è ricca.
La PSA è un’infezione tipica dei suidi africani (potamoceri, iloceri e facoceri e loro sottospecie) che per selezione naturale hanno sviluppato una parziale resistenza al virus, divenendo al tempo stesso portatori, serbatoi e diffusori del virus ai suini selvatici asiatici ed europei (cinghiali) e ai maiali domestici, per i quali il virus è molto patogeno. In ambienti selvatici o semiselvatici sono serbatoi e diffusori del virus anche alcuni artropodi succhiatori di sangue, come le zecche del genere Ornitodoros. L'incremento della popolazione di cinghiali è quindi da tenere in massimo conto quando si valuta il rischio che rappresenta l'introduzione, la diffusione e la permanenza del virus della PSA in un territorio, un fenomeno questo che interessa in modo particolare l’Italia. L’Ispra (Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale) stima che in Italia i cinghiali possono aver superato il milione di esemplari, diffusi in tutte le venti regioni e nel 95% delle province. In alcune aree si stima che il numero di cinghiali sia triplicato negli ultimi anni, e ancor più preoccupante é che vi sono zone dove allevamenti di suini al pascolo si sovrappongono a zone a elevata densità di cinghiali, causando non solo inquinamenti genetici, ma trasmissioni di pericolose infezioni.
Che cosa succede con l'arrivo della Peste Suina Africana in un paese? Premesso che questa infezione non é un rischio per la salute umana, l’Italia conosce bene i danni economici della Peste Suina Africana, ancora presente in alcune are della Sardegna, perché in un paese esportatore quale siamo, questa infezione porta alla chiusura delle frontiere non solo degli animali sensibili, ma soprattutto delle loro carni e dei salumi provocando vera tragedia economica, senza considerare gli intralci anche turistici per i controlli alle frontiere. 
Le popolazioni di cinghiali non sono soltanto causa di danni alla agricoltura, ma anche un grave rischio per l’allevamento suino e le esportazioni dei prodotti della salumeria italiana, tali da essere considerati una bomba biologi-ca senza l’innesco che potrebbe essere l’introduzione del virus della Peste Suina Africana. Questa è in avvicinamento dai paesi dell’Europa orientale, éè una malattia subdola e può arrivare per molte strade, anche attraverso i commerci, il turismo, l’andirivieni delle persone con i loro alimenti e residui alimentari infetti. Quanto mai indispensabili sono piani di controllo sanitario nei traffici direttamente o indirettamente provenienti da paesi con l’infezione, ma soprattutto sono necessari interventi per ridurre le popolazioni italiane di cinghiali e per un miglioramento della biosicurezza negli allevamenti suini, in particolare estensivi, di tipo brado e semibrado e di tipo “biologico”, dove esiste maggior probabilità di contatto tra suini domestici e cinghiali. Altrettanto importante, se non indispensabile, è la creazione di una fascia di territorio senza cinghiali lungo la nostra frontiera alpina orientale.