Nel mondo si producono ogni anno grandi quantità di cibo: ca. 700 Mln di tonnellate di grano; 950 di mais; 500 di riso; ca. 950 di ortaggi; 800 di frutta e poi altri 410-430 Mln di tonnellate fra carne e pesce. Tutto questo cibo (in totale ca. 4,5 Mld di tonnellate) è di norma sufficiente a nutrire i ca. 7,46 Mld di uomini e donne che popolano la Terra e se ci sono persone che soffrono la fame o sono malnutriti è soprattutto un problema di distribuzione del cibo piuttosto (o oltre) che di scarsa produzione. E le cose potrebbero andare addirittura meglio se non ci fossero tanti sprechi e soprattutto tante perdite dovute alle malattie che attaccano, e non da oggi, le piante coltivate. E che le malattie siano una antica conoscenza dell’uomo (e non un prodotto della modernità) ce lo racconta la storia la quale ha conservato per noi il ricordo di alcune grandi epidemie che hanno avuto devastanti effetti sociali, politici e perfino religiosi. Fra tutte spiccano le ruggini dei cereali, per i nostri antenati una sorta di punizione divina per le azioni malvagie commesse dall’uomo. Ecco cosa si legge nella Bibbia (Amos 4:9): «Vi ho colpito con ruggine e carbonchio; le locuste hanno divorato i vostri giardini, le vigne, i vostri fichi, i vostri olivi; ma voi non siete tornati a me», dice il Signore. Riguardo alle ruggini la Roma imperiale, che importava ogni anno grandi quantità di grano (si calcola ca. 4,2 Mln di q.li), si è dovuta inventare un Dio, Robigo (e celebrare delle feste: le Robigalia), invocato per proteggere le messi dal flagello della ruggine. Ci sono poi da ricordare l’avvelenamento da segale cornuta o ergotismo che ha imperversato per secoli soprattutto in Francia; la ruggine del caffè nell’isola di Ceylon (oggi Sri Lanka) che, secondo qualcuno, ha indotto gli inglesi a bere il tè anziché il caffè; la peronospora della patata, la regina delle epidemie, che ha provocato a metà del 1800, in Irlanda, 1.000.000 di morti e ha costretto all’emigrazione 1,5 milioni di persone; l’elmintosporiosi del riso nel Bengala (1942) che causò la morte per inedia di due milioni di persone e poi numerose altre fino ad arrivare a quella più recente della Xylella su piante di olivo nel Salento. In questa parte della Puglia, un piccolo essere, Xylella fastidiosa, grande poco più di un millesimo di millimetro, è riuscito, in un periodo di tempo relativamente breve, ad invadere un’area piuttosto ampia e a minacciare la vitalità stessa di una pianta, l’olivo, che per la sua forza e natura è tra le poche specie capaci di vita millenaria. E il batterio non è rimasto fermo nel luogo di prima comparsa: si è diffuso in tutto il Salento e un po’ oltre (il confine esterno della cosiddetta “zona cuscinetto” è ora a nord della città di Taranto) e si è presentato in Francia (al 27 settembre 2016 identificati 287 focolai di Xylella in Corsica e 15 nel resto della Francia) e in Germania. E a manifestarsi in luoghi così lontani fra loro non è stata un’unica popolazione del batterio. In effetti, ad oggi sarebbero state individuate in Europa ben 3 sottospecie di Xylella. La prima, X. fastidiosa (subsp. pauca) è risultata responsabile in primis dell’epidemia su olivo nel Salento; la seconda, X. fastidiosa (subsp. multiplex), è stata trovata in piante di Polygala myrtifolia e altri ospiti in Francia e in Corsica nel 2015; la terza, X. fastidiosa (subsp. fastidiosa), è stata trovata in un piccolo vivaio in Germania, in una pianta in vaso di Oleandro (EPPO Reporting Service no. 07 - 2016). Ed è di queste ultime ore la segnalazione nella rete Internet (è da attendere la conferma ufficiale) della presenza di X. fastidiosa subsp. fastidiosa in 3 piante di ciliegio in un vivaio di Porto Cristo nell’isola di Maiorca (Spagna). (Quest’ultima sottospecie è stata segnalata nel 2014 anche in Iran su vite e mandorlo.) Per oltre 130 anni (il batterio è comparso la prima volta su vite in California nel 1882) X. fastidiosa se n’è rimasta rintanata nel suo luogo di origine (Sud America) o di diffusione (Nord America) ma quando ha deciso di uscire al di fuori di questi confini l’ha fatto in maniera davvero strepitosa. Di fronte a noi si consolida una sfida formidabile e per superarla dobbiamo affrontarla con lo stesso spirito vincente che Cosimo Ridolfi, nel 1852, dai Georgofili, cercò di infondere nei viticoltori toscani al tempo dell’epidemia di oidio su vite (….lungi dal lasciarci vincere dalle difficoltà che ci stringono, usiamo della intelligenza che Dio ci dette per superarle, e ne trionferemo sicuramente…). E allora la vite fu salvata dalla nuova malattia.