Piante e cambiamenti climatici

di Andrea Bennici
  • 16 February 2011
Sembra ormai più che attendibile l’affermazione dei meteorologi sulla tendenza della temperatura media del nostro pianeta ad aumentare progressivamente negli anni a venire. Ciò porterà inevitabilmente alla formazione di sempre nuove zone aride, se non desertiche, nel nostro pianeta. In questo contesto, le piante, ma solo quelle più evolute, cioè le Angiosperme, se confrontate con gli  animali, sono gli organismi viventi (ad esclusione dei batteri a archeabatteri) sicuramente più avvantaggiati per sopravvivere in seguito a un tale cambiamento ambientale (escludendo i batteri e gli archeabatteri in grado di sopravvivere nelle condizioni più estreme). Sebbene sia difficile fare previsioni a questo riguardo sulle possibili trasformazioni genetico-evolutive di singoli taxa quali, soprattutto, generi e specie o, comunque, popolazioni vegetali viventi nei climi temperato o caldo-umidi, è possibile, invece, fare qualche previsione su modelli adattativi più a livello generale che potrebbero costituire in futuro quelli della flora dominante in gran parte della Terra. Senza entrare nelle ben note caratteristiche morfo-anatomiche e biochimiche che hanno permesso alle Angiosperme la conquista di tutti gli ambienti terrestri, compresi quelli più caldi e secchi (impermeabilizzazione esterna del germoglio, sintesi di lignina, suberina, trasporto dell’acqua  attraverso vasi aperti, regolazione della traspirazione, ecc.), vorrei evidenziare particolari aspetti di adattamento a condizioni di secco estremo esistenti già nei vegetali. Tra questi, la capacità di taxa anche molto distanti dal punto di vista tassonomico di assumere per un processo di evoluzione convergente caratteri simili, se non identici, grazie ai quali possono sopportare periodi anche lunghissimi di assenza di acqua (esempio l’habitus  delle Cactacee e delle Euforbiacee e/o di altre piante grasse, la fotosintesi C 4 e CAM). Ma ancora più sorprendente è la capacità presente in molti gruppi vegetali di entrare nei periodi di siccità in uno stato di completa quiescenza mediante disidratazione quasi totale di tutta la pianta stessa come avviene nelle cosiddette “resurrection plants” (Selaginella lepidophilla, ma anche molte dicotiledoni e monocotiledoni), conservando, comunque, la capacità di reidratarsi e riprendere a vegetare in presenza di acqua. E’ importante ricordare a questo riguardo che un comportamento simile costituisce la caratteristica più saliente del seme, il mezzo che a livello riproduttivo ha contribuito, insieme agli altri caratteri ricordati, alla diffusione spazio-temporale delle Angiosperme. Infine, una considerazione: sebbene le piante siano gli organismi con il più alto contenuto di acqua e più dipendenti da essa sono spesso quelli che più, in un certo senso, possono tollerare la sua mancanza ricorrendo proprio alla disidratazione (sempre compatibilmente con il sussistere delle condizioni vitali). Questa capacità direi che è insita nella struttura e comportamento della cellula vegetale stessa, immobile, come la pianta. Si potrebbe immaginare, infatti, una simile possibilità negli organismi animali in cui proprio lo stato motorio è il loro carattere fondamentale, anche perchè intimamente connesso al loro sistema nervoso? Ma, d’altra parte è anche quello che gli permette di sfuggire a condizioni ambientali come quelle riportate (oltre, naturalmente, ad altre proprietà proprie degli animali e, in particolare, dei mammiferi).  

(foto di F. Ferrini)

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