Il miglioramento genetico della vite con metodi tradizionali: alcune osservazioni sulla situazione in Italia.

di Cesare Intrieri
  • 05 January 2011
In quasi tutte le regioni italiane sono ancora presenti decine o centinaia di vecchi vitigni da vino, in via di scomparsa o ancora sporadicamente coltivati su piccolissime superfici. Sul territorio nazionale tali vitigni, cosiddetti “minori”, sono varie migliaia e molti di essi sono i residui di una primigenia selezione massale all’interno di popolazioni di semenzali di Vitis vinifera, nate spontaneamente da vinaccioli provenienti da autofecondazioni o da fecondazioni incrociate del tutto casuali.
I vitigni “minori”, con poche eccezioni, sono stati progressivamente abbandonati per le loro caratteristiche non del tutto soddisfacenti, e ciò è confermato dal fatto che la loro importanza nella viticoltura italiana rimane assolutamente marginale. La stragrande maggioranza del materiale di propagazione impiegato nel nostro Paese è infatti costituito da poche decine di varietà di grande pregio e di antica coltivazione, saldamente affermate nei diversi ambienti (varietà “territoriali”), a cui si affianca un numero molto più limitato di cultivar “internazionali” la cui diffusione sta però complessivamente diminuendo.
La base ampelografica della viticoltura italiana non si è quindi modificata più di tanto negli ultimi cinquant’anni, né con l’introduzione relativamente recente dei vitigni internazionali, né tantomeno con il recupero dei vitigni “minori”, la maggioranza dei quali è soprattutto importante ai fini della biodiversità. E’ però sorprendente notare che a favore di questi ultimi sono oggi disponibili in varie regioni notevoli aiuti finanziari, spesso sostenuti da motivi campanilistici, come appare dalla richiesta dell’inserimento di alcune varietà “minori” tra quelle autorizzate in una determinata zona, o attraverso la richiesta del loro uso all’intero di denominazioni più importanti, o addirittura facendone oggetto di specifiche denominazioni.
Al contrario, lo stesso entusiasmo non si manifesta verso il lavoro di ibridazione controllata effettuato da molte istituzioni scientifiche, che hanno già creato molte varietà di uve da vino, adatte ad ambienti diversi, talora già iscritte al Registro Varietale e quindi coltivabili, ma ancora in area di parcheggio. Molte nuove varietà potrebbero dignitosamente affiancarsi ai vitigni “territoriali”, perché provenienti da incroci tra genitori di pregio di cui esaltano i migliori caratteri colturali e tecnologici (equilibrio vegeto-produttivo, tolleranza alla siccità e alle malattie fungine, adattabilità alla meccanizzazione integrale, rapporti ottimali zuccheri/acidi, ricchezza di antociani e polifenoli, presenza di aromi varietali complessi).
Il mancato ampliamento della piattaforma ampelografica italiana con accessioni provenienti da incrocio controllato è soprattutto imputabile all’estrema tradizionalità dei viticoltori, che si sentono attratti dai nomi (spesso dialettali) di alcuni vitigni “minori” in via di scomparsa, ma che dimostrano poco interesse verso le più recenti costituzioni. Questa generale “diffidenza”.del mondo viticolo nazionale nei confronti del “nuovo”, rappresenta un grosso ostacolo per il miglioramento genetico delle uve da vino, perché dirotta la ricerca verso settori meno impegnativi (ad es. verso la selezione clonale di vitigni già affermati), in cui sono necessari apporti finanziari più limitati e sono più brevi i tempi per ottenere risultati.
Nella attuale situazione di forte competizione internazionale, sarebbe invece auspicabile l’entrata in coltura a pieno titolo di alcuni nuovi vitigni, come valida integrazione alla nostra vitivinicoltura che ha ancora il suo punto di forza nel rifiutare l’espandersi di una standardizzazione globale del gusto. Se le migliori tra le nuove varietà da incrocio (già omologate o pronte ad esserlo) potranno trovare un più favorevole accoglimento, anche la ricerca sarà stimolata a produrre e a rendere disponibili altre accessioni di pregio per le uve da vino. In questa direzione sarà particolarmente utile il ricorso alla moderna biotecnologia, che potrà consentire una semplificazione delle procedure con l’impiego di marcatori molecolari specifici per una selezione precoce assistita.
                                                                                        
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