Le razze animali autoctone e la resistenza alle patologie infettive

di Dario Cianci
  • 08 July 2015
In Italia, come in tutto il mondo occidentale, il consumatore, soddisfatto nelle esigenze quantitative, è sempre più attento ai problemi di qualità e sicurezza degli alimenti ed ha accolto con favore le innovazioni produttive che lo riavvicinino alla condizione naturale e non trascurano i problemi legati alla qualità della vita ed alla conservazione dell’ambiente e della biodiversità. Negli anni passati, la necessità di incrementare la produttività ha indotto all’introduzione di razze animali alloctone più rispondenti all’allevamento intensivo, ma non adatte all’ambiente nosologico nuovo per loro. Inoltre lo scarso successo di alcuni farmaci ne ha determinato un uso continuo, che ha condotto alla selezione di ceppi patogeni resistenti e, conseguentemente, al diffondersi della farmaco-resistenza. A ciò non fu data inizialmente molta importanza per l’efficacia delle strategie di lotta farmacologiche che però sono dannose per il rilascio di residui non degradabili di farmaci nel terreno, nelle acque e nei prodotti di origine animale destinati al consumo dell'uomo. Oggi si pone il problema di ridurre questa presenza ed è importante la ricerca di strategie di miglioramento della salute animale meno dipendenti da molecole farmacologiche; assume perciò sempre maggiore significato la possibilità di allevare popolazioni o soggetti in possesso di resistenza genetica alle patologie attraverso la selezione delle popolazioni alloctone ma soprattutto con la utilizzazione dei tipi genetici autoctoni, già resistenti alle patologie stesse o che comunque richiedono terapie più blande a minor rilascio di residui. 
Nell’ambiente naturale, le specie animali selvatiche sono resistenti a quasi tutti i patogeni con i quali hanno raggiunto un equilibrio di convivenza che consente loro di non soccombere; la domesticazione ha alterato le relazioni tra ospite e patogeno in favore di quest’ultimo e le specie allevate sono più suscettibili alla patologie. La produttività e la resistenza si sono evolute infatti in modo autonomo perché gli allevatori hanno selezionato per la prima lasciando il controllo delle patologie alla selezione naturale (pastoralismo); i genotipi resistenti sono diffusi perciò nelle razze autoctone che hanno sviluppato le capacità di adattamento ai patogeni endemici del proprio ecosistema e alle altre limitazioni dell’ambiente (clima, disponibilità di alimenti) nel quale sono riuscite a sopravvivere, riprodursi e produrre. 
Abbiamo già visto (D. Cianci - Gli alimenti funzionali di origine animale, Georgofili INFO, nov. 2013) che tutti gli animali forniscono prodotti con ottime proprietà nutrizionali, ma le popolazioni autoctone offrono alimenti con maggiori pregi nutrizionali per il loro tipo genetico ed il sistema tradizionale di allevamento. Le popolazioni autoctone sono perciò quelle più idonee per la produzione di qualità e la scelta genetica deve orientarsi prioritariamente su di esse, lasciando tuttavia spazio al loro miglioramento genetico poggiato sul concetto di resilienza e cioè sulla capacità di produrre e riprodursi nelle condizioni loro offerte. Questi animali sono anche quelli che assicurano il pieno sviluppo delle funzioni immunitarie ed il consolidamento della resistenza ai patogeni diffusi nel loro ecosistema. Il pascolamento su erbai e/o prati, che potrebbe essere considerato facilitante per la diffusione di patologie, in presenza di genotipi autoctoni idonei (già acclimatati ed adattati all’ambiente) contribuisce invece al potenziamento della resistenza fenotipica integrandola con lo sviluppo della resistenza acquisita. 
Anche per evitare che si possa determinare una indesiderata riduzione della biodiversità, la selezione per la resistenza deve essere integrata in obbiettivi globali di miglioramento che considerino il valore della produzione tenendo conto dell’effetto positivo sulle produzioni qualitative e sulla qualità dell’ambiente. La possibilità del miglioramento selettivo della resistenza richiama un grande interesse, insieme ad altri studi essenziali sulla epidemiologia, sullo sviluppo di vaccini e sulla adozione di sistemi globali di miglioramento della salute animale; vi è inoltre grande attenzione al controllo integrato ottenuto mediante un limitato impiego di farmaci ed una idonea strategia di gestione dei pascoli e dell'alimentazione.


Native animal breeds and their resistance to infectious diseases

In the years past, the need to increase productivity led the introduction of non-indigenous animal breeds more responsive to intensive breeding, but ill-suited to a nosological environment new to them. Moreover, the limited success of some drugs has brought to their continuous use thus leading to the selection of resistant strains and, consequently, the spread of drug-resistance. Moreover, little importance was initially given to the effectiveness of pharmacological control strategies that however are harmful due to the release of non-degradable residues of drugs in soil, water and products of animal origin intended for human consumption. Today the question of how to reduce this presence has arisen and the search for strategies less dependent on pharmacological molecules to improve animal health has become important. The possibility of breeding populations or individuals with genetic resistance to disease through the selection of non-indigenous animal breeds, but, above all, choosing native genetic types already resistant to these same  diseases or at least in need of milder cures, with fewer residues released, makes increasing sense.