Lo scavo stratigrafico e l’etnobotanica, insieme a testimonianze preziose come quella di Plinio nelle Naturalis Historia e agli affreschi che decoravano le case romane dell’area vesuviana, hanno consentito di ricostruire la fisionomia dei giardini pompeiani con informazioni dettagliate sulle specie botaniche e sui loro molteplici usi: dalla decorazione del giardino all’ornamento delle corone, all’uso in medicina e in cucina.
I fiori a disposizione, che non erano molti, si coltivavano in gruppi isolati o insieme alle rose. La presenza nell’area vesuviana di specie esotiche (il fiore di loto, la palma da datteri, il platano, il limone, il cedro) testimonia l’esistenza di scambi con regioni lontane. Per decorare gli spazi verdi, i giardinieri dell’epoca utilizzavano molto arbusti e alberi, soprattutto sempreverdi, che davano ombra (mites), un giusto sfondo all’architettura e un buon profumo. Ampia diffusione avevano nei giardini gli alberi da frutto, e oltre il giardino poteva esserci un frutteto: l’albicocco, il pesco, il ciliegio, il melograno, il melo, il pero, il susino, il fico erano frequenti e utilizzati in tutte le loro parti. Gli affreschi raffiguranti la vite sono così precisi da rendere riconoscibili le varietà; l’abbondanza di torchi, anfore e celle vinarie rinvenute a Pompei testimonia un’abbondante produzione di vino e fonti letterarie raccontano di un vino vesuviano pregiato. Nell’area cresceva anche l’olivo: l’olio era anche la base di profumi e unguenti, il legno era usato nei mobili intarsiati, i residui del frantoio alimentavano le lucerne, la morchia allontanava gli insetti dai granai.
Attiguo al frutteto si trovava l’orto: era sfruttato per l’uso familiare e per la vendita e produceva fave, piselli, lupini, cavoli, cipolle e insalate. Gli orti si trovavano anche intorno a Pompei e ogni giorno fornivano vegetali freschi al mercato cittadino: bisogna considerare che l’assenza di refrigerazione e la viabilità impervia rendevano necessario produrre vicino al mercato di vendita. I cavoli erano considerati i re delle verdure e ne erano coltivate parecchie varietà. La migliore qualità di carciofi veniva da Cartagine. Il finocchio e la lattuga, sacri ad Adone, erano molto usati come calmanti e sonniferi. La zucca e il cetriolo erano coltivati sin dai tempi più antichi, e indivia e asparagi selvatici erano molto apprezzati. Sono stati ritrovati a Pompei alcuni semi di cocomero frutto che appariva esclusivamente sulle mense imperiali.
I giardini di Pompei rappresentavano anche la farmacia e la profumeria di casa. In medicina molti ingredienti erano posti a macerare nel vino, la cui base alcolica estraeva i principi attivi, mentre specie odorose, come gigli, rose e viole, erano destinate alla preparazione dei profumi. Alcune specie vegetali erano anche impiegate come piante tintorie e, a seconda della fibra e del mordente utilizzati, davano colori diversi.
Nel paesaggio vesuviano erano presenti anche piante tessili: il lino e la canapa per produrre vestiario, tappezzeria e vele, reti da pesca; lo sparto per le suole delle scarpe leggere e il cordame, i giunchi, per le stuoie, i canestri e le sporte.
Nell’agosto del 79 d.C. la natura vinse l’homo georgicus e il vulcano ha sepolto gli orti di Pompei.
L’articolo è una sintesi della relazione presentata al Convegno “Verso Pompei: l’agricoltura dell’epoca nella storia e nelle immagini”, che si è svolto il 9 ottobre 2014 a Portici (Napoli), organizzato dalla Sezione di Sud-Ovest dei Georgofili insieme al Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II.