Frodi nel biologico, il sistema ha pochi anticorpi

di Fabrizio Piva
  • 10 July 2013
Negli ultimi due anni, ma in particolare negli ultimi mesi, abbiamo assistito a diversi casi di cronaca in cui le frodi a danno del biologico hanno fatto notizia. Tali operazioni, definite con nomi roboanti “gatto con gli stivali” o “green war”, hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sul biologico in modo negativo, rischiando di danneggiare uno dei pochi settori che a livello nazionale sta ancora crescendo. 
La credibilità del biologico nazionale non è tuttavia stata compromessa e l’Italia continua ed essere uno dei principali attori nel mercato europeo e internazionale. Ma occorre capire perché certi fatti accadono. Nella lunga catena di fornitura troviamo parecchie società di intermediazione e commercializzazione che mirano a lucrare sul forte differenziale di prezzo fra il prodotto biologico e l’analogo convenzionale, con meccanismi di frode. La stessa motivazione ha spinto frodi simili nel settore oleario e della frutta trasformata.
Purtroppo, le informazioni sul sistema delinquenziale individuato e sui quantitativi di falso prodotto biologico immessi in commercio sono state diffuse solo dopo parecchi mesi dai fatti, con un enorme danno per gli operatori che in buona fede hanno acquistato tali materie prime e hanno ottenuto prodotti biologici poi venduti come tali sul mercato.
E’ indispensabile che si creino filiere trasparenti, in cui sia chiaro chi coltiva un determinato prodotto. Inoltre i differenziali di prezzo che il consumatore paga per i prodotti biologici devono essere riversati con una quota maggiore al settore primario affinché abbia interesse a dedicarvisi.  Non dimentichiamo che la superficie nazionale dedicata, 1.096.000 ettari, è inferiore rispetto a quella di dieci anni fa e l’incidenza sul totale della superficie bio europea è passata a più del 16% a meno del 10%.
In ambito di controllo e certificazione è necessario rafforzare i meccanismi di rintracciabilità e intervenire sull’efficacia del sistema. E’ anche necessaria una migliore cooperazione fra organismi di certificazione, sistema pubblico di vigilanza e Accredia, ente nazionale di accreditamento.

Estratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n° 25/2013