Le specie esotiche invasive

di Giovanni Bernetti
  • 10 April 2013
L’Informatore Botanico (44, suppl. 4; 2012) pubblica un  Codice di Comportamento rivolto agli imprenditori del Florovivaismo per evitare la diffusione di specie esotiche che possano ridurre la biodiversità ed i servizi ecosistemici. 
E’ bene premettere che la natura non favorisce necessariamente la massima diversità di specie. In Italia, anche alcune specie indigene hanno provocato evoluzioni riduttive della biodiversità. Il faggio, stando alle analisi polliniche, è rimasto per lungo tempo sporadico nei boschi misti a base di querce e solo a partire dall’800 a.C.  ha formato le  attuali  estese faggete pure. I carpini, da alcuni decenni, si sostituiscono sia al castagno che alle querce; dal 1985 al 2005 la loro superficie è aumentata da 160 mila ettari 753.000 ettari. Nello stesso tempo l’acero montano ha invaso campi e castagneti su di un totale di 180.000 ettari; d’altronde,  in Inghilterra,  e altrove, si comporta da specie esotica particolarmente aggressiva. 
In Italia la robinia è diffusa soprattutto nel nord-ovest, su oltre 200.000 ettari. Più locale, e concentrato in Lombardia, è il ruolo di Prunus serotina e di Buddleja davidii (FOTO), mentre l’ailanto imperversa nelle periferie urbane. 
L’invasione dipende sia dai caratteri della specie (quantità di seme o capacità di moltiplicazione vegetativa) che dai caratteri ecologici della stazione compresa la capacità  resistenza della vegetazione esistente.  
Il greto dei fiumi è particolarmente accessibile perché viene spesso rimaneggiato; pazienza se si trovano sporadici ippocastani, peggio quando la buddleia sostituisce in pieno i salici. L’ailanto dalle aree suburbane può diffondersi nei boschi planiziari circostanti come, del resto, ha già fatto il pruno serotino. Sui rilievi sembrano particolarmente soggetti all’invasione i popolamenti di tipo acidofilo. La robinia, per esempio,  è attiva nelle brughiere, nei castagneti abbandonati e nelle pinete di pino marittimo. Se fosse vero che le formazioni acidofile sono più soggette, si spiegherebbe perché il problema delle specie esotiche i interessi soprattutto agli inglesi che vedono minacciate le loro brughiere. 
Il danno alla funzionalità dell’ecosistema potrebbe essere bilanciato con le eventuali positività. La robinia, per esempio, arricchisce il terreno, permette l’aggregazione a grumi e, quindi, favorisce la capacità di trattenere l’acqua. Inoltre si stima che un ceduo di robinia possa  bloccare fino a 3,5 tonnellate di carbonio all’anno per ettaro contro l’1,5 di uno di cerro.  Infine,  il bosco di robinia, risulta difficilmente infiammabile e così, quando sostituisce le pinete di pino marittimo fa risparmiare spese di prevenzione e di lotta agli incendi.