Valorizzazione salutistica dei prodotti agroalimentari

di Manuela Giovannetti
  • 20 March 2019
La valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici del territorio, che è stata finora realizzata attraverso i diversi marchi di qualità, come DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta), SGT (Specialità Tradizionale Garantita), PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), può essere ulteriormente perseguita attraverso la loro caratterizzazione salutistica. La prima tappa di questo processo è rappresentata dall’acquisizione di conoscenze sui livelli di particolari composti bioattivi ad alto valore salutistico, con potenzialità nutraceutiche, caratterizzanti un determinato prodotto, seguita dalla utilizzazione delle informazioni ottenute ai fini della sua differenziazioni da prodotti similari, anche ai fini di marketing.
Nel caso della Regione Toscana, troviamo centinaia di prodotti tipici, già conosciuti attraverso i vari marchi di qualità: tra i 16 DOP possiamo citare il miele e la farina di castagne della Lunigiana, la farina di neccio della Garfagnana, l’olio extravergine di oliva (del Chianti Classico, di Lucca, di Seggiano, delle Terre di Siena), il pecorino toscano e romano e il pane toscano. Tra i 15 IGP si passa dal fagiolo di Sorana al farro della Garfagnana, mentre tra i 406 PAT troviamo 34 formaggi, 121 prodotti da forno come pane, torte e pasticceria varia, e 191 prodotti vegetali freschi, dall’aglione della Valdichiana alla cipolla di Certaldo, dal fagiolo zolfino alla mela rotella della Lunigiana, dal mirtillo nero della montagna pistoiese alla patata rossa di Cetica, dal pomodoro canestrino di Lucca al tartufo bianco della Toscana.
E’ necessaria dunque una loro ulteriore diversificazione, per poter affrontare le sfide dei mercati. Le azioni da intraprendere riguardano proprio la caratterizzazione dei prodotti, e anche dei processi produttivi, dal punto di vista del loro contenuto in sostanze importanti per la nostra salute.
Il primo esempio di caratterizzazione ai fini della sua valorizzazione, riguarda il pane: abbiamo circa 30 prodotti fermentati PAT tra pani e focacce, e un pane DOP. La loro caratterizzazione funzionale inizia con l’analisi dei livelli di sostanze nutritive, quali amido, fibre, minerali, vitamine, proteine, per continuare con la determinazione del contenuto in sostanze nutraceutiche, che è, tra l’altro, influenzato dal processo fermentativo. Poiché nella definizione di pane, a proposito della lievitazione, si cita genericamente il “lievito”, troviamo pani prodotti usando solo il lievito commerciale Saccharomyces cerevisiae e pani prodotti usando “il levito madre”, chiamato anche impasto acido (in inglese, sourdough), che è rappresentato da comunità complesse di lieviti e batteri lattici. E’ noto che il lievito madre, che è caratteristico di ciascun impasto, è capace di conferire al pane proprietà differenziali, reologiche, sensoriali e nutrizionali ed è strettamente legato al territorio. Gli studi molecolari e funzionali sono stati illuminanti circa le proprietà differenziali conferite all’impasto dai vari tipi di lieviti e batteri lattici. Per esempio, alcuni ceppi rendono maggiormente disponibili minerali essenziali quali ferro, calcio e zinco, mentre altri permettono la riduzione del glutine, producono esopolisaccaridi, preziose sostanze prebiotiche, composti antiossidanti, vitamine e peptidi bioattivi. Una volta isolati e disponibili in coltura pura, i diversi ceppi lievitanti, selezionati per proprietà funzionali specifiche, possono essere utilizzati come starter, sostituendo i prodotti standard commerciali. Presto sarà disponibile un sistema modello sviluppato per produrre pane ad elevato valore salutistico per la catena alimentare italiana, frutto del lavoro di 7 Università italiane, di cui è capofila l’Università di Pisa (http://healthy-breads.agr.unipi.it/). L’esempio del pane può essere esteso a molti altri prodotti fermentati da forno a base di farina di farro, mais e castagne.
Un altro esempio importante è rappresentato dal formaggio, un prodotto tradizionale della Toscana, di cui troviamo tre DOP e 34 PAT. La sua valorizzazione dovrebbe partire della storia della sua produzione, partendo dall’alimentazione delle pecore e capre a base di foraggi verdi e erbe di pascolo, fino alla tecnologia di lavorazione e ai processi fermentativi portati avanti dai microrganismi. La valorizzazione nutraceutica, però, può essere perseguita solo dopo approfonditi studi clinici, come dimostrato dal pecorino toscano DOP “amico del cuore”, che è già sul mercato e frutto delle ricerche effettuate da un gruppo di nove università ed enti di ricerca italiani, coordinati dall’Università di Pisa, che hanno rivelato nuove proprietà funzionali legate alla componente lipidica.
Il terzo esempio, che è paradigmatico e indica la strada maestra da seguire, riguarda il miele. Sappiamo da tempo che ha proprietà antiinfiammatorie, antibatteriche, e che è antiproliferativo. La sua valorizzazione, naturalmente, deve iniziare dal “terroir” di produzione, ma non può prescindere dalla sua caratterizzazione salutistica. Il modello da seguire è il miele prodotto nelle foreste della Malesia, nella regione Tualang: questo miele è stato analizzato per le sue molteplici proprietà terapeutiche, anche antitumorali, che sono state descritte in diversi lavori pubblicati su riviste scientifiche internazionali ed è considerato tra i migliori del mondo.