“Agricoltura sociale” comprende quelle attività che impiegano le risorse dell’agricoltura per promuovere o accompagnare azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa di persone svantaggiate o a rischio di esclusione sociale.
Seguendo la definizione si può affermare che pratiche di agricoltura sociale sono da tempo attive in Italia ed in Europa. Imprese che conducono terreni, comunità terapeutiche, tenimenti agricoli volti alla riabilitazione e reinserimento sociale di detenuti ed ex-detenuti, iniziative agricole all’interno di ospedali psichiatrici, laboratori protetti di orticoltura o di floricoltura, rappresentano soltanto alcuni esempi di agricoltura sociale
de facto. Tali iniziative, spesso venivano condotte senza un’esplicita consapevolezza di contribuire al conseguimento delle finalità sociosanitarie o sociali.
Data l’estrema varietà delle esperienze riconducibili all’ambito dell’agricoltura sociale e dato anche che molte di queste tendono a non rivelarsi pubblicamente come iniziative di agricoltura sociale, non si è in grado ancora di tracciare un quadro preciso dell’agricoltura sociale in Italia.
Esse sono, tuttavia, collocate pienamente nella prospettiva dell’impresa agricola multifunzionale ovvero di un’impresa in grado di erogare, accanto ai tradizionali beni agroalimentari ed agro-industraili, una pluralità di servizi in prevalenza indirizzati alle persone e alle comunità locali.
Diversamente da altre forme di multifunzionalità agricola, quale ad esempio l’agriturismo, nell’agricoltura sociale il “servizio” sociale è intimamente intrecciato con l’esercizio dell’attività agricola, dal momento che è proprio dal coinvolgimento nelle pratiche agricole dei soggetti destinatari del servizio che il servizio stesso può dispiegare le proprie funzioni e potenzialità. La centralità che assume nella fattoria sociale l’attività di produzione primaria è la centralità del momento autenticamente produttivo, seppure adeguato nelle sue modalità tecniche e organizzative alle specifiche esigenze delle particolari risorse umane coinvolte.
Vista in questa chiave l’agricoltura sociale, aldilà della particolare veste giuridica del soggetto che la realizza, presenta caratteri economico-imprenditoriali, dal momento che in essa, a partire da una certa dotazione di fattori produttivi, espressi da un set di risorse naturali, umane e finanziarie, si cerca di conseguire risultati sia di tipo materiale (i prodotti della terra e i loro trasformati) e immateriali (i servizi).
Agendo in chiave “sociale” un impresa agricola genera i benefici che coinvolgono un ampio spettro di soggetti.
I beneficiari espliciti sono evidentemente gli utenti diretti, ovvero i soggetti deboli che vengono attivamente coinvolti nelle attività agricole.
Nel caso dei lavoratori svantaggiati i benefici sono sia di natura monetaria, il reddito percepito, sia non monetaria quale l’inclusione sociale attraverso il lavoro, l’apprendimento di mansioni, la riduzione dello stigma che li fa spesso ritenere improduttivi.
Un secondo livello di beneficiari è la comunità locale che l’agricoltura sociale, oltre a rappresentare un’opportunità occupazionale, amplia l’offerta di servizi alle persone, creano capitale sociale, contribuiscono alla produzione di beni relazionali, oltre che agricoli, contribuendo al miglioramento della vivibilità e della qualità della vita delle aree rurali.
Un terzo beneficiario è il settore pubblico. La spesa pubblica legata all’erogazione di servizi sociali trova, nelle fattorie sociali, interlocutori che dilatano le possibilità del settore pubblico di garantire un livello minimo di erogazione di servizi sociali essenziali in aree marginali, a costi più contenuti e con risultati più efficaci di quanto non siano in grado di garantire altri soggetti.
L’agricoltura sociale è ormai emersa dall’ombra, sebbene non in tutte le regioni e non solo perché poco conosciuta. La sfida dell’agricoltura sociale è quella di esplicite le potenzialità ancora inedite. Tradizionalmente l’agricoltura è stata ambito di accoglienza, di inclusione e di coesione sociale; essa è sociale per definizione. E’ necessario da un lato promuovere il consolidamento delle esperienze in essere, dall’altro creare le condizioni perché le potenzialità “sociali” dell’agricoltura ancora latenti diventino sempre più “edite”.
Occorre inoltre accrescere le conoscenze del fenomeno. La produzione di conoscenza in ambito di agricoltura sociale è un processo complesso. Non si ottiene attraverso percorsi di ricerca operati da singoli soggetti, ne si può pensare di studiare l’efficacia delle pratiche di agricoltura sociale tramite esperimenti, come accade in altre parti della scienza. La crescita delle conoscenze richiede un lavoro multi-attore, una condivisione di obiettivi, approcci, metodi e strumenti che coinvolga i diversi attori portatori di differenti esperienze e angoli visuali. Un’attenzione particolare dovrà essere dedicata alla valutazione dell’efficacia delle pratiche di agricoltura sociale sia quando sono finalizzate a contribuire a percorsi terapeutico-riabilitativi sia quando realizzano percorsi di inclusione sociale e lavorativa di fasce svantaggiate.
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