Dunque in questa Europa che decide sempre di non decidere (e in cui poi ognuno fa “come gli va”) si sta affermando una crociata strisciante contro il progresso in agricoltura (che magari troverà dei supporter anche qui da noi tra gli utopisti rurali, gli eco-socialisti, gli entusiasti della ‘decrescita felice’). I fatti: il 25 luglio scorso la Corte di giustizia europea in una sentenza ha equiparato le varietà di piante ottenute dall'incrocio della stessa specie (cioè senza inserire un Dna estraneo, si chiama mutagenesi), agli organismi geneticamente modificati (Ogm) che invece presentano un patrimonio genetico inesistente in natura. Il che significa autorizzare gli Stati membri a proibire quei prodotti. In sintesi: quelle che sono solo nuove tecniche biotech, indispensabili per fare innovazione (e l’agricoltura del futuro ne avrà un disperato bisogno) vengono equiparate a tecniche OGM, quindi messe al bando. Qualcuno ha scritto (Marco Cappato e Marco Perduca sul magazine Sette del Corriere della Sera, “Negare la scienza va contro la libertà”) che “l’Italia è leader in Europa contro il progresso in agricoltura”.
Sono argomenti importanti, decisivi per il futuro del pianeta se è vero – come è vero - che, grazie alla ricerca scientifica, gli agricoltori non sono più soli davanti alle sfide globali della sicurezza alimentare, della fame nel mondo, del cambiamento climatico. Le biotecnologie – è stato detto a Bologna al workshop ‘Cibo per la mente’ in occasione della Biotech Week – “sono una risorsa fondamentale fra gli strumenti utili per aumentare le rese in maniera sostenibile, contrastare l’aggressività delle malattie delle piante e produrre alimenti più nutrienti.
A Bruxelles qualcuno si è mosso. Il nostro ex ministro Paolo de Castro (sempre lui, ma non c’è nessun altro eurodeputato italiano che si occupa di agricoltura?) ha annunciato che il 10 ottobre prossimo incontrerà il Commissario Ue alla salute e alla sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis “per chiarimenti circa le nuove tecniche di miglioramento varietale - non OGM - che rappresentano la chiave per garantire un futuro alle piccole e grandi aziende agricole europee”. “Chiederò al commissario Andriukaitis di rimettere mano alla legislazione europea –insiste De Castro -. La madre di tutti gli errori è stato non avere definito nella normativa Ue le tecniche che fanno riferimento agli Ogm, una carenza di cui fa oggi le spese anche il più tradizionale degli incroci varietali'”. “Eppure - conclude De Castro - abbiamo bisogno di miglioramento genetico non Ogm per rispondere ai cambiamenti climatici, alle sfide agricole e alimentari del futuro, per non dipendere più dalle grandi multinazionali, rafforzando la collaborazione tra Università e piccoli centri di ricerca di cui l'Italia conta vere e proprie eccellenze''.
L’Europa dovrebbe servire a fare quelle scelte di progresso/prospettiva che i singoli Paesi non sono in grado di fare da soli. Il biotech No-Ogm è una di queste. Il prossimo anno si vota per le Europee. Non sappiamo che Parlamento uscirà, forse condizionato pesantemente dalle forze euro-scettiche e sovraniste. Quindi non sappiamo che Europa sarà quella che ci aspetta né chi la governerà. L’Europa che abbiamo visto alla prova in questi ultimi anni ha dimostrato di non funzionare, di essere incapace di decidere sui temi decisivi per la vita dei cittadini. Però, attenzione, potrebbe anche andare peggio. Su temi come la produzione di cibo, su come produrre di più e meglio con meno risorse non si può scherzare. Servono politiche pubbliche di sostegno all’innovazione, alla ricerca, al miglioramento tecnologico. Inutile (e quasi ridicolo) impegnarsi per la lotta alla fame nel mondo e poi non promuovere politiche di sostegno all’innovazione e all’adozione di tecniche di miglioramento tecnologico in tutti i campi. Anche il nostro tanto decantato made in Italy ha bisogno di innovazione, anche il biologico. Serve un approccio laico e non ideologico alle nuove tecnologie. Devono essere le Università, i centri di ricerca a stabilire se servono, a cosa servono, quali sono i costi/benefici, i limiti di utilizzo, non politici in cerca di consenso o i clic sulla Rete. L’Italia è rimasta indietro su questo fronte: bloccati dal principio di precauzione abbiamo dimenticato il ‘principio di innovazione’, altrettanto sacrosanto. Concludendo. Non so cosa il commissario Andriukaitis risponderà alle domande di De Castro; questa Commissione è alle battute finali e a Bruxelles tira già aria di ‘liberi tutti’.
Però una cosa è certa. L’agroalimentare del futuro non sono le torte della nonna o l’ultimo piatto dello chef stellato ma come rendere “disponibili agli agricoltori le migliori tecnologie ed ai consumatori prodotti sempre più sicuri, sostenibili e di elevata qualità” (dal manifesto ciboperlamente.eu). Se l’Europa abdica al suo ruolo, se la scienza viene rinnegata da chi pensa che possiamo sopravvivere coltivando l’orto sul terrazzo o il frutteto in giardino, il Vecchio Continente è destinato a chiudere bottega.
da: Corriere Ortofrutticolo, 18/9/2018