Negli ultimi 40 anni numerosi studi hanno dimostrato gli
effetti salutistici della fibra alimentare. Per questo motivo, organizzazioni come European Food Safety Authority (2010) e FDA (2014) ne hanno aumentato da 25 a 30 g il fabbisogno giornaliero raccomandato per una dieta da 2000 Kcal.
Solitamente la fibra viene fornita dai cereali e dai loro sottoprodotti, ma stanno diventando sempre più interessanti anche i residui ricchi di fibra, ottenuti dai processi di trasformazione di frutti e ortaggi, da impiegare in formulazioni alimentari funzionali (Garcia-Amezquita, 2018).
La definizione di
fibra alimentare ha subito continue variazioni sia per il progresso della ricerca nutrizionale che attribuiva i benefici fisiologici a suoi specifici componenti, sia per lo sviluppo di nuove metodiche analitiche in grado di identificarli.
Il concetto di
fibra alimentare fu coniato per la prima volta da Hipsley nel 1953 per definire i componenti non digeribili della parete cellulare vegetale come cellulosa, emicellulosa e lignina.
Nel 1976, Trowell e coll. lo modificarono basandosi sulla resistenza alla digestione e comprendendo quindi nella definizione di fibra tutti i carboidrati non digeribili, come le gomme, la cellulosa modificata, la mucillagine, gli oligosaccaridi e la pectina. In base a questi presupposti diversi gruppi di ricerca hanno sviluppato protocolli analitici per la quantificazione di questi nuovi componenti negli alimenti, partendo dalla rimozione delle parti digeribili con enzimi specifici.
Furono Prosky e coll. a sviluppare nel 1984 la tecnica poi diventata metodica ufficiale (AOAC) per la quantificazione della
fibra alimentare. Nel 1992, Lee e coll. modificarono la procedura
AOAC separando la
fibra alimentare (DF) in due frazioni, in base alla loro solubilità. La prima precipita in acqua ed è chiamata
fibra alimentare insolubile (IDF), mentre la seconda, solubile in acqua, precipita in etanolo al 78% ed è conosciuta come fibra alimentare solubile (SDF). Sommando entrambe le frazioni si ottiene la
fibra alimentare totale (TDF) e la metodica è sicuramente la più comunemente utilizzata per la determinazione della fibra alimentare. La definizione di DF rimane invariata e comprende cellulosa, emicellulosa, lignina, gomme, cellulosa modificata, mucillagine, oligosaccaridi, pectina e componenti minori come cere, cutina e suberina. Tuttavia, alcuni composti che sono assimilati alla fibra, come l'amido resistente, alcuni β-glucani, fruttani, galattooligosaccaridi e polidestrosio, tra gli altri, non vengono quantificati con la metodica ufficiale
AOAC e devono essere determinati con altri metodi, con un conseguente sovrastima significativa di DF.
McCleary nel 2007 ha sviluppato una procedura integrata per l’analisi contemporanea di tutti questi composti. DF è misurata come la somma di due frazioni, la prima costituita da composti ad elevato peso molecolare (HMWDF) quantificati con analisi gravimetrica e la seconda frazione con quelli a basso peso molecolare (LMWDF), in gran parte oligosaccaridi non digeribili (NDO), determinati cromatograficamente.
Nel 2009, la Commissione del CODEX Alimentarius ha ridefinito DF come
“carboidrati polimerici, con 10 o più unità monomeriche, non idrolizzati dagli enzimi endogeni dell’intestino umano”. In una nota viene specificato che DF comprende composti in gran parte di origine vegetale con un grado di polimerizzazione tra tre e nove (ad esempio NDO). Sono quindi inclusi sia i carboidrati polimerici edibili che si trovano naturalmente negli alimenti, sia quelli ottenuti attraverso processi fisici, chimici o enzimatici ed anche carboidrati polimerici ottenuti per sintesi, se ne sono stati dimostrati i benefici salutistici.
Per supportare la definizione data dal CODEX Alimentarius, mantenendo la suddivisione in base alla solubilità, la frazione ad elevato peso molecolare (HMWDF) è stata anche definita SDFP, in quanto precipita in etanolo al 78%, mentre quella a basso peso molecolare (LMWSDF) viene detta SDFS, grazie alla solubilità in etanolo alla medesima concentrazione. Di conseguenza TDF corrisponde alla somma delle tre frazioni (IDF, SDFP e SDFS). Questa metodica ufficiale (AOAC 2011.25) è riconosciuta come più accurata, rispetto alle precedenti, per la determinazione della fibra alimentare.