Genova per noi lombardi e piemontesi è una città speciale, come la Liguria e il suo mare. Vederla colpita in modo tragico dal crollo inconcepibile del Ponte il 14 agosto perciò è un dolore profondo e indicibile. Abbiamo provato per giorni una stretta come se ciò fosse accaduto da noi, nelle nostre case, nelle città, nelle campagne e nelle montagne di questo triangolo d’Italia a cui apparteniamo.
Poi abbiamo visto la volontà, la tenacia, la caparbietà e le poche chiacchiere dei liguri e il cuore si è aperto alla speranza. Mentre la popolazione, il porto, la città continuano a vivere, a lavorare, a cercare di ripartire siamo fermi, con loro, ad aspettare che i riti della politica si compiano e inizi la ricostruzione.
Il crollo di un ponte che siamo abituati a considerare perpetuo è peggio di un tradimento. Quanti ponti romani ancora sono in funzione, anche nelle più impervie valli che dalle montagne scendono al mare. I ponti, persino nella mente burocratica che ha disegnato le banconote dell’euro come un filo conduttore dell’unione monetaria, sono fatti per unire e per favorire passaggi e comunicazioni. Anche questo. Chi lo ha percorso lo ricorda sempre sovraccarico. Univa le due parti della Liguria, Levante e Ponente e anche molti flussi di traffico: di Genova stessa; dell’Italia, per le direttrici da Nord e da Est verso Sud e Ovest; dell’Europa, sull’itinerario dall’Atlantico alle estreme propaggini Settentrionali ed Orientali.
Dopo la distruzione del relitto la costruzione del nuovo ponte e già siamo arenati ai preliminari, mentre crescono il mugugno e l’impazienza dei genovesi, dei liguri e di tutti.
Ma il problema non è la ricerca di responsabilità, colpe o vendette e nemmeno chi e come costruirà il nuovo ponte. Il problema è il futuro di Genova. Il nuovo ponte sarà un rimedio all’accaduto, ma non darà risposte per il futuro della città e della regione. La Superba, l’antica e orgogliosa signora dei mari, da anni è in declino. I giganteschi cantieri navali, ricordo di infanzia, le navi in costruzione che arrivavano sino alla strada a Sestri non ci sono più. Genova ha perso le sue caratteristiche che non possono essere sostituite dai Centri commerciali.
Il grande compito che attende Genova e i genovesi non è solo la ricostruzione, ma l’individuazione di una strategia di sviluppo per l’intera area, con la valorizzazione del suo entroterra di collina e montagna. Di un’agricoltura dura e varia, bellissima ma impegnativa, a rischio di abbandono nelle impervie aree interne. Del mare e dell’ambiente, del turismo, delle attività connesse al porto ed alla logistica, di quelle finanziarie, di quelle industriali dalla cantieristica alla meccanica all’agroalimentare. Ma non se ne parla.
Altre esperienze di ripresa dopo le catastrofi come in Friuli insegnano che con lavoro e coraggio la calamità può segnare un punto di svolta. L’augurio è che l’invito “Che l’inse?” lanciato da un ragazzo insieme a un sasso per iniziare la rivolta di Genova verso l’occupazione austriaca alla metà del Settecento sia la scintilla di una riscossa pacifica.
Zena, che l’inse?